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lunedì 17 gennaio 2011

Giustizia, Ultima Chiamata



Mai, in 17 anni di accanita persecuzione giudiziaria contro la mia persona, alcuni Pubblici Ministeri della Procura di Milano erano arrivati a stravolgere, in modo così inverosimile e grottesco, la realta' dei fatti, le garanzie costituzionali e lo Stato di diritto” così Berlusconi ha commentato l’iniziativa della Procura di Milano sul caso Ruby.
E’ ormai una sensazione diffusa: il match tra una parte della magistratura italiana e Berlusconi è sempre stato “maschio”, ma recentemente si è fatto più cattivo, più violento.
Sarebbe troppo lungo fare il riassunto delle tante inchieste spuntate come funghi ai danni del Premier , ma anche di chi gli orbitava intorno, incluso quel Bertolaso che per anni è stato San Guido Protettore (Civile), destinatario di ovazioni bipartisan anche quando si allacciava le scarpe, finché non si è compromesso facendosi vedere troppo spesso seduto vicino al nemico pubblico numero uno, arrivando ad avere l’impudenza di entrare nel suo governo. Non si fa. “Il tuo atteggiamento è notato” avrebbe detto il Commissario Politico del Dottor Zivago, e infatti Bertolaso ha fatto presto a finire sotto la lente di ingrandimento della procura di Firenze.

E, uscendo dal penale, che dire della abnorme sentenza con cui il famoso giudice dai calzini turchesi, al secolo Raimondo Mesiano, senza uno straccio di perizia, condannò Mediaset a fare gentile omaggio a De Benedetti della folle cifra di 750 milioni di euro?  Risarcimento poi sospeso, ma che costituisce tuttora una bella pistola puntata alla tempia di Fininvest.

Sono tutte storie che raccontano di un’escalation di cui gli eventi degli ultimi giorni, dal ritorno di fiamma del caso Ruby, meno di 24 ore dopo la parziale bocciatura della legge sul legittimo impedimento, fino alla richiesta del rito immediato – solitamente riservato all’assassino trovato con l’arma in mano e il sangue della vittima ancora sui vestiti - sono solo l’ultimo capitolo.

La procura di Milano ha alzato il tiro e ha una gran fretta, tanto da far sembrare  le audizioni della Ariosto, ai tempi dell’inchiesta SME, roba da minuetto. Parlando per titoli di film si potrebbe dire che "qualcosa è cambiato" e quel qualcosa è il "rischio" che la riforma della giustizia si faccia per davvero.
Berlusconi parla di separazione delle carriere al almeno 15 anni, ma fino all’avvio di questa legislatura era un tema confinato nel limbo delle buone intenzioni. Ora le cose sono diverse, il progetto di riforma c’è, è stato discusso, limato,  è in dirittura d’arrivo. Esiste un testo da portare in aula e alle toghe non va giù, perché  rischia di scalfire il loro status di ultracasta fatta da intoccabili che rispondono solo a se stessi e non pagano per i propri errori.

Dopo il fallimento della spallata finiana il governo sta ritrovando, si dice, dei numeri presentabili in parlamento, e la riforma della giustizia, dopo il federalismo fiscale, è uno dei primi punti in agenda. Per chi vuol difendere lo status quo il tempo stringe, o buttano giù da cavallo Berlusconi entro  primavera o potrebbe essere tardi. Sono consapevoli di quello che c’è in gioco, il centrodestra lo è?

Quella sulla giustizia è la madre di tutte le partite, vale molto più di una riforma e Berlusconi deve portarla a casa senza ulteriori rinvii, più tempo farà passare e più ne concederà alle procure del “resistere, resistere, resistere” per minargli il terreno sotto i piedi. E quando vivi in un campo minato è solo questione di tempo prima che ti faccia male.

Separazione delle carriere certo, ma anche obbligatorietà dell’azione penale, che in Italia, con la mole enorme di procedimenti destinati a non iniziare mai, è una barzelletta e si traduce nella più totale discrezionalità da parte del magistrato. Senza dimenticare le  intercettazioni (non c’entrano con la riforma, ma non per questo sono meno urgenti) che ormai scandiscono i tempi della vita del paese grazie al megafono di una stampa che ha perso di vista l’elementare principio logico secondo cui se qualcuno, parlando di me al telefono, dice che ho rubato il Colosseo, come minimo è il caso di controllare se il Colosseo è ancora al suo posto prima di additarmi all’opinione pubblica come ladro di monumenti.

La procura di Milano si sta muovendo e la grancassa dei giornali come al solito non si è fatta pregare. State certi che verrà dato fondo agli arsenali, sarà una guerra non convenzionale in cui varrà tutto, dalle bombe atomiche agli aeroplanini di carta. E anche se l’intero impianto accusatorio fosse un’accozzaglia di elementi penalmente irrilevanti, il polverone che si leverà sarà di quelli da tempesta del deserto. Se il governo non vuole che la politica subisca l’ennesima castrazione giudiziaria deve ingranare la marcia sulla riforma della giustizia adesso. E’ l’ultima chiamata.

Naturalmente ci sarà chi farà tutto l’ostruzionismo di questo mondo, e tra loro ci aspettiamo di trovare anche Gianfranco Fini, lo stesso che fino a qualche anno era convinto che una parte della magistratura fosse politicizzata, che negarlo fosse “negare l'evidenza” e che chiedeva commissioni d'inchiesta su tangentopoli.
Ma per oggi lasciamo perdere Fini, abbiamo parlato di cose serie, su mister capriola torneremo un altro giorno, quando saremo in clima di Carnevale.

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