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domenica 16 gennaio 2011

Belli Ciao



E’ andata come doveva andare, a Mirafiori hanno vinto i “si”, 2.735 voti (54,05%.) contro 2.325 (45,95%).
“Si” agli investimenti. “No” a chi vuole fabbriche trasformate in piazze perennemente mobilitate contro qualcosa o contro qualcuno. In questo caso la FIOM e la CGIL hanno cercato addirittura di mobilitare i lavoratori contro se stessi, spingendoli ad un “no” che avrebbe messo a rischio il loro stesso posto di lavoro. Hanno perso, di misura (e questo testimonia quanto certa ideologia faccia ancora presa), ma hanno perso. Certo, se lo ammettessero sarebbe troppo facile.

E così, alle prime luci dell’alba di ieri, Giorgio Airaudo si presenta davanti ai microfoni per dire che  “gli operai delle linee di montaggio hanno detto di no”, vero, ma altri hanno detto di si, poi aggiunge “di fatto sono stati decisivi gli impiegati”.
Uno fa due conti e vede che tra gli impiegati è finita con un +401 per il “si (421 a 20). Lo scarto complessivo è stato di 410 voti, il che vuol dire che se avessero votato solo gli operai il “si” avrebbe comunque prevalso, anche se per soli 9 voti, per carità, non certo un plebiscito.

Ma Airaudo non si ferma qui, arrivando a dire che a Mirafiori gli impiegati, cioè quelli che hanno spinto con più decisione per il ‘si’ all’accordo “sono in gran parte capi e struttura gerarchica”.
Insomma, se sei un impiegato statale, e hai la fortuna di essere definito “fannullone” da un nemico del popolo come Brunetta, ti meriti il pubblico encomio perché fai parte di una categoria popolata da persone che “sono impegnate quotidianamente in attività di pubblica utilità, in servizi alla persona, garantiscono i diritti costituzionalmente garantiti. Hanno quasi tutte altissime professionalità e tutti svolgono compiti delicati” (parola di Epifani), ma se l’impiegato lo fai a Mirafiori e voti contro la linea della CGIL diventi immediatamente “gerarchia”, il nemico del popolo sei tu.

Non è tutto, alle parole di Airaudo fanno seguito quelle di Giorgio Cremaschi che definisce il risultato “una sconfitta politica per Marchionne”.
Il punto è proprio quel  “politica”, una parolina magica che funziona a meraviglia quando discuti un contratto sotto i riflettori nazionali, quando ti fai intervistare durante la pause delle trattative con Confindustria, quando devi riempire le piazze per manifestare contro i governi, o quando lanci l’ennesimo sciopero generale, ma suona stonata nel contesto di una contrattazione aziendale diretta tra imprenditori e i lavoratori.
Sulla contrattazione nazionale i sindacati come la CGIL hanno costruito negli anni quel diritto di veto che si è poi esteso a tutte, o quasi, le aree decisionali del paese.

Spostare la contrattazione dal piano nazionale a quello aziendale significa riportare la discussione  su questioni che hanno meno a che fare con l’ideologia e la retorica da piazza televisiva e più con le effettive condizioni di lavoro, con la produttività e con i premi che questa produttività merita.
Non vuol dire che non debba esistere un contratto nazionale, ma, se un imprenditore ritiene che le condizioni del mercato lo richiedano, deve poterne siglare uno diverso passando solo da un accordo con i suoi lavoratori. E’ così che si ottimizza la resa di uno stabilimento, esattamente come avviene nel resto del mondo civile.

Questo è quello che è successo con l’accordo di Mirafiori, e vale forse più per il principio che afferma che per il miliardo di euro di investimenti che sblocca. Se questo darà il “la” all’affermarsi della contrattazione aziendale avremo dei sindacalisti che si occuperanno più di lavoro e meno di scontri ideologici  con l'ottica dei capipartito.
E potremo iniziare a salutare personaggi come la Camusso, Cremaschi, Airaudo, e quelli che fanno loro compagnia nelle loro frequenti adunate di piazza : “Ciao Belli”, anzi “Belli Ciao”.

Domani si parla di giustizia. Inevitabile.

2 commenti:

  1. Camusso, come disse Sgarbi, più bella che intelligente.

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  2. Però c'è da dire che è perfetta per la parte, quando la guardi in faccia ti sembra uscita da un film sull'Unione Sovietica degli anni '50.

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