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venerdì 10 giugno 2011

La Beviamo?



Domenica e Lunedi si vota per quattro referendum a conclusione di una campagna che ancora una volta si è distinta per aver velocemente messo da parte il merito vero delle questioni affrontate ed essersi esaltata su luoghi comuni, slogan presi a prestito da frasi fatte e personalismi da quattro soldi.

Legittimo impedimento ma soprattutto acqua e nucleare.
“Votiamo si per dare un altro bel calcio a Berlusconi dove lo sente meglio” è la parola d’ordine di Bersani, Di Pietro e compagni, che, avendo perso tutto o quasi quello che c’era da perdere dalle politiche del 2008 in avanti, hanno dovuto impiegare, loro malgrado, gli ultimi anni ad affinare la tecnica della “minimizzazione della sconfitta” del giorno dopo, e non gli pare vero adesso di poter portare a casa una seconda “vittoria” nel giro di poche settimane.
I referendum come il secondo tempo delle amministrative quindi. Bene, ma dato che qui non si parla di mandare a casa questo o quel politico, ma di abrogare o meno parti di leggi dello stato, e dato che le leggi non portano i tacchi, non hanno capelli trapiantati in testa, non hanno conti in banca a nove zeri e non fanno cucù ai capi di governo esteri, se le si giudica sulla base di simpatie o antipatie personali si commette lo stesso errore di chi tentasse di misurare l’umidità dell’aria con il goniometro.  

E tutto questo a prescindere dal fatto che descrivere la campagna per il “SI” come un referendum indiretto su Berlusconi è una solenne panzana se è vero come è vero che:
A- Nel comitato per il “NO” per il referendum sull’acqua spiccano in primissimo piano i nomi di Franco Bassanini (PCI-PDS-DS-PD tutta la vita) e Linda Lanzillotta (anche lei proveniente dal PD e oggi parcheggiata nelle nebbie terzopoliste).
B- Il Presidente del Agenzia per la sicurezza nucleare è tale Umberto Veronesi (senatore PD) e il presidente del Forum Nucleare Italiano, che da alcuni mesi svolge il lodevole compito di provare a dare un’informazione sull’atomo finalmente sgombra da qualunquismi e luoghi comuni, è Chicco Testa, ambientalista entrato in parlamento 25 anni fa con il Partito Comunista Italiano e rimastoci poi con il PDS.

La verità è che chi ragiona per logiche di schieramento su questioni come la gestione delle risorse naturali e le strategie energetiche nella migliore delle ipotesi prende una cantonata.
Ma non è che quando si è parlato fugacemente del merito dei temi trattati le cose siano andate meglio:

I promotori del “SI” referendario sul nucleare hanno puntato tutta la loro comunicazione sull’effetto Fukushima. Avete visto? Altro che nucleare sicuro! E’ bastato un po’ di mare mosso per mandare per aria perfino i leggendari sistemi di sicurezza dei giapponesi (dico, dei giapponesi)…ed ecco che nei sobri cartelloni che da settimane tappezzano le nostre città sono comparse nuvole di vapore a forma di teschio, della serie: il nucleare nuoce gravemente alla salute.
Peccato che quel “po’ di mare mosso” sia stata una catastrofe naturale che ha spostato di una quantità misurabile l’asse terrestre e causato 30mila morti nel giro di poche ore.
Trasportate un terremoto come quello giapponese (30mila volte più forte di quello che ha raso al suolo L’Aquila) nel nostro caro bel paese, con 8 edifici su 10 di concezione pre-sismica, e vedrete che la possibilità di eventuali fughe radioattive sarà l’ultimo dei nostri problemi.
E peccato anche che la leggendaria sicurezza nipponica probabilmente non sia stata rappresentata ai suoi massimi livelli da un reattore costruito 40 anni fa che già da tempo avrebbe dovuto essere pensionato.
Domanda: cosa hanno a che vedere i problemi incontrati da un reattore obsoleto nel fronteggiare uno degli eventi catastrofici più devastanti che l’uomo ricordi con la possibilità di realizzare strutture di ultima generazione in Italia, dove il grado 9 della scala Richter lo vediamo (per fortuna) scritto solo sui libri di scuola?
Risposta: Niente.
Ecco perché i referendari per “SI” ne hanno fatto il tema centrale della loro campagna.
Nel frattempo il sistema di produzione energetico basato sul petrolio continua a far lievitare le nostre bollette e ad inquinare capillarmente l’ambiente (come il nucleare non potrà mai fare) nel disinteresse generale.

Ma la non pertinenza degli argomenti degli antinuclearisti è roba da ridere se messa a confronto con il tasso di balle che ha caratterizzato la campagna per il “SI” sui due referendum sull’acqua:
“L’Acqua deve restare un bene pubblico, di tutti, mai l’acqua in mano ai privati!”. Messa così chi può non essere d’accordo?
Il problema è che non si capisce bene cosa intendano i referendari con il termine “acqua privatizzata”. Piazzare bandierine sulle nuvole? Areografare i loghi delle aziende del settore sulle gocce di poggia?
Il modello proposto dal decreto Ronchi (del quale, con il referendum, si propone una parziale abrogazione) non ha niente a che vedere con la privatizzazione dell’acqua in quanto bene, che resta pubblico al 100%. Viene affidata (in parte, e con una quota minoritaria) ai privati la sola gestione delle reti di distribuzione, ovvero di quegli acquedotti che (dati ISTAT) oggi per ogni litro portato nelle case degli italiani ne perdono mezzo abbondante per strada.
Uno colabrodo in stato di costante degrado ormai da decenni che per rimettersi in sesto necessita una quantità di risorse (si parla di 50-100 miliardi di euro) che il nostro stato indebitato fin sopra la punta dei capelli non ha e non avrà mai, a meno di non aprirsi, appunto, anche ai capitali privati, che non sono un’emanazione del demonio, ma la base su cui si fondano tutte le iniziative che funzionano in giro per il mondo, a patto di saperle gestire.
Votare “SI” non vuol dire combattere per l’acqua pubblica (malgrado la probabile buona fede di chi se ne fa promotore sulle bacheche di Facebook), ma difendere il diritto di chi oggi la amministra a continuare a sprecarla in percentuali a doppia cifra.

Domenica e lunedi è di questo che si parla. Non di equilibri tra partiti, e nemmeno tra leader, ma di questioni che toccano la vita della gente in modo trasversale, con buona pace di chi cerca di trasformare questo appuntamento in un’elezione politica anticipata nella speranza di poterne ricavare qualche vantaggio per la propria parte.

Il gioco dei Bersani, dei Di Pietro e dei Vendola è questo: pur di far affondare Berlusconi vale la pena di mandare tutto il paese a mollo. Se il giorno dopo ci sveglieremo senza più una prospettiva di strategia energetica o di ammodernamento nella gestione delle risorse naturali affari nostri. E chi questi personaggi li vota può anche essere tentato di seguirne la logica, contagiato com’è dall’ossessione del nano da abbattere a tutti i costi.
Ma per raggiungere il quorum (quasi 24milioni di voti) questi signori avranno bisogno anche di un bel po’ di milioni di voti di gente che non ha fatto dell’antiberlusconismo la propria ragione di vita.
Chiediamoci allora se vogliamo farci infinocchiare da una campagna di panzane costruita sui fac simile di nobili ed alti ideali, ma che in realtà ha unicamente finalità politiche di bottega.

Il sottoscritto non la beve. E domenica e lunedi se ne resta a casa.