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martedì 18 gennaio 2011

Procura de La Repubblica


La bomba è scoppiata, le carte del caso Ruby sono state trasmesse alla Camera.
Oggi, come previsto, sui giornali imperversano le quasi 400 pagine dell’ultima fatica della Procura di Milano - primo atto di quella guerra non convenzionale nella quale i nemici del premier ripongono le loro speranze di liberarsi finalmente del cavaliere nero - ma il dibattimento mediatico (l’unico a contare in un paese in cui simili inchieste, quando arrivano in tribunale, si risolvono invariabilmente in un nulla di fatto)  ci accompagna già da giorni, e nel bailamme non poteva mancare la voce di quel giornale che negli anni si è distinto per il suo ruolo di procura, se non addirittura di tribunale, supplente.
Se “Porta a Porta” è la terza camera, non c’è dubbio che la redazione de “La Repubblica”  sia diventato lo stanzino delle procure d’Italia, quello messo proprio lì, a due passi dagli uffici dove si svolgono interrogatori, si dispongono e si ascoltano intercettazioni, si scrivono verbali. Uno stanzino con il buco della serratura lasciato perennemente senza chiave, in modo che chi ci guarda dentro possa vedere (oltre che sentire) tutto quello di cui ha bisogno.

E D’Avanzo, nel suo articolo di Domenica, dimostrava di aver visto e sentito abbastanza "Quando diventeranno pubbliche le fonti di prova, chiunque potrà rendersi conto come sia evidente che Ruby ha fatto sesso con il presidente, il quale era consapevole della sua minore età, e che in cambio è stata generosamente retribuita" e ancora “Chi ha letto le carte ne ha ricavato stupore per la forza del quadro probatorio” Per concludere con parole che sembrano più adatte alla recensione di un romanzo che all’analisi degli atti di un processo “un racconto, una storia che fiorisce in modo autentico proprio perché libera da ogni costrizione, diplomazia, vincolo”.
Insomma, l’atto di accusa della procura di Milano inchioda il Cav. alle sue responsabilità. Non solo, si legge che è un piacere.
Vedrete, stavolta l’abbiamo tanato, non ci scappa. Popolo delle manette, riponi le monetine e tira fuori il tuo cappio, presto avrai di che riempirlo.

Passano 24 ore, gli atti arrivano alla Camera, il che equivale a dire che tutti li possono leggere. Giornata febbrile nelle redazioni, 389 pagine divorate in una serata, manco fossero l’ultimo libro di Harry Potter. Si cerca la prova regina, quella che rende il quadro probatorio “sorprendentemente forte”. Le rivelazioni si susseguono nei lanci di agenzia, chiacchiere tante, ma la pistola fumante si nasconde. “Per varie ragioni sono ancora fermo a pagina 80 e non è ancora successo nulla che non avessi già letto sui giornali" commenta un po’ deluso, a metà pomeriggio, il presidente della Giunta per le autorizzazioni della Camera, Pierluigi Castagnetti.
Ma l’obiettivo è comunque raggiunto, giornali e telegiornali non parlano d’altro,  alla fine chissenefrega se ci sono o non ci sono le prove che Berlusconi e Ruby abbiano consumato. L’immagine del cavaliere puttaniere si vende che è una meraviglia.

Il metodo è sempre lo stesso, non sono richiesti elementi di prova, basta creare l’illusione della loro esistenza,  non c’è bisogno di trovare riscontri a questa o a quella affermazione fatta in conversazioni telefoniche private, basta spararla a tutto volume e lo shock mediatico farà il resto. Non si punta all’obiettivo, limitato e un po’ grigio, di una sentenza di tribunale come tante, ma ad uno  smottamento di fiducia dell’opinione pubblica che rovesci il quadro politico.

Il processo è solo il mezzo, Il fine invece lo troviamo scritto su “la Repubblica” di oggi “La giustizia dirà se ci sono reati con minori[….] ma intanto ciò che emerge è sufficiente per un giudizio politico di totale inattitudine ad esercitare la leadership governativa e la rappresentanza di una democrazia occidentale”. Eccoci, ci siamo arrivati, la forza del quadro accusatorio, tanto decantata da aver addirittura autorizzato sogni proibiti di arresto, è già svanita, dimenticata, non conta, non ci serve. Quel che conta è il giudizio politico: Berlusconi si deve dimettere.

La conclusione qual è? Che al di là dell’ormai proverbiale “lasciamo che la giustizia faccia il suo corso” si ha l’impressione che, ancora una volta, l’imponente lavoro di indagine dei giudici di Milano stia servendo unicamente a caricare a pallettoni la penna degli editorialisti e i microfoni dei  mezzibusti televisivi. Per fare questo la procura di Milano ha intercettato, monitorato, spiato, centinaia di persone, non solo politici o personaggi pubblici, ma anche gente normale, persone comuni, che non sono accusate di nulla, ma i cui nomi e cognomi vengono in queste ore dati in pasto alla stampa, portando all’inevitabile sputtanamento (e mai termine fu più adeguato).  Chiunque è in grado di capire che un sistema del genere minaccia la libertà individuale del comune cittadino, quanto quella del politico di nome.  

Ma il popolo delle manette ha altro a cui pensare, e mentre la procura della Repubblica si muove verso il processo, quella de “La Repubblica” ha già scritto il suo verdetto, senza nemmeno aver avuto bisogno di  passare per un tribunale. Verdetto politico ovviamente,  l’unico che gli interessa. L’unico che gli serve.

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