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lunedì 13 dicembre 2010

Finiocracy



Ci sono cose che abbiamo sentito ripetere così tante volte che iniziano a sembrarci vere.
Ad esempio, a sentire certi finiani, due cose non si discutono:
A - Nel PdL non c’è libertà e chiunque indica una strada diversa incorre in una "lesa maestà".
B – In FLI tira tutta un’altra aria: si dibatte liberamente, ci si confronta. Ogni posizione, ogni dissenso, non solo è tollerato, ma è visto come un arricchimento culturale, un’opportunità di crescita.

Questo è quello che ci sentiamo raccontare dai transfughi, da quando sono finalmente approdati all’interno di un partito in cui la democrazia non è solo uno slogan, ma un valore di cui il leader, Gianfranco Fini, si fa garante.

Alzi la mano chi ci ha creduto. Basta ricordarsi come andavano le cose nella vecchia AN per sapere che l’uomo è tutto fuorché quel campione del pluralismo e del dibattito interno che da un po’ di tempo ci racconta di essere. Parliamo dell’uomo che azzerava i gruppi dirigenti dalla sera alla mattina, che non tollerava le correnti, che stabiliva le candidature in splendida solitudine.
Parliamo dell’uomo che ha deciso di sciogliere AN nel PdL senza nemmeno mandare un bigliettino ai suoi dirigenti, né ai favorevoli, né ai contrari, tanto per chiarire quanto valutava la loro opinione e il loro consenso.
Insomma parliamo di uno che “Il Partito sono Io” ce l’ha avuto scritto in fronte per vent'anni.

Con queste premesse non c’è da stupirsi che certe uscite di Fini versione “difensore delle minoranze intellettuali” abbiano fatto alzare il sopracciglio a più di uno tra quelli che lo conoscevano anche solo per sentito dire. Ma le mille giravolte degli ultimi mesi legittimavano l’interrogativo: sarà mica cambiato per davvero?

La risposta non ci ha messo molto ad arrivare: altro che partito senza colonnelli, FLI è una realtà in cui uno decide, pochi incidono e tutti gli altri si adeguano, possibilmente in silenzio. Prova né è il fatto che dopo appena pochi mesi il mal di pancia pare già epidemico, anche tra chi giura fedeltà al leader e continuerà a seguirlo. E non è un caso se nelle ultime settimane la “guardia dei fedelissimi” è stata costretta a lanciare messaggi intimidatori per cercare di serrare i ranghi.

Se Granata, lo scorso 30 Novembre, si lasciava andare ad un tollerante “chi non vota la sfiducia a questo governo si pone fuori dal progetto di Futuro e libertà”, l’altro ieri Barbareschi è andato oltre definendo “pazzi irresponsabili” quelli che non si adegueranno alla linea del leader. Un bel quadretto di democrazia interna, non c’è che dire.

E’ notizia di venerdi sera che i malpancisti hanno scritto una lettera al presidente della Camera chiedendogli di appoggiare un Berlusconi bis senza passare per le dimissioni. A riferirlo è il finiano Catone, secondo cui l’obiettivo è avere “la liberta' di voto al momento di scegliere in aula. Spero che la discussione possa riprendere dentro il partito. Non sarebbe democratico se decidessero solo Briguglio, Bocchino e Granata".

Passano meno di due ore e arriva la smentita di Bocchino e Urso: “non esiste nessuna lettera” e “il gruppo è compatto”. Insomma i “dissidenti” non sono più né dei reietti da mettere alla porta né dei pazzi irresponsabili, vengono declassati direttamente ad illusione ottica, non esistono, quindi inutile parlarne. Nemmeno l'orco Berlusconi avrebbe saputo fare di meglio.

Da Bastia Umbra in avanti si è capito che chi si lamentava della caserma ha finito per costruirsene una tutta sua. Magari, per compiacere gli intellettuali di Fare Futuro, la possiamo chiamare gendarmeria, ma più in là di lì non si va.

E forse forse abbiamo anche capito  perché Gianfranco ce l’aveva tanto con la storia del partito padronale. Ve lo ricordate? Il leader chiamato per nome, Il nome del leader nell’inno, tutte cose che “non si addicono ad un moderno partito europeo”. Si potrebbe essere tentati di dargli ragione.
Poi però uno guarda il simbolo di FLI, si accorge che il nome di Fini da solo ne occupa la metà, e capisce che quello che davvero a Fini non va giù del PdL è che il nome sia quello di qualcun altro.

2 commenti:

  1. al senato berlusconi ha emesso il suo canto del cigno.

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  2. Tutto è possibile domani. E anche dopodomani. Quello che è certo è che il tramonto di Berlusconi è stato annunciato, con toni più o meno solenni, un anno si e un anno no dalla fine del 1994 in poi. Finora a tramontare sono stati i tramontisti. Chi vuole buttar giù Berlusconi lo deve battere alle elezioni e non mi pare di vedere una gran voglia di urne nel fronte della sfiducia.

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