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mercoledì 22 dicembre 2010

Sfruttamento della Costituzione



Se porra' la Sua firma alla legge Gelmini Lei sancirà la cancellazione del Diritto allo Studio, uno dei diritti fondamentali della Costituzione” con queste parole gli studenti del collettivo “Sapienza in Mobilitazione” si sono rivolti al Presidente della Repubblica.
In Italia ormai siamo vaccinati: quotidianamente ci muoviamo tra proposte incostituzionali, riforme incostituzionali, governi e perfino parlamenti incostituzionali. Insomma, quello che non piace viola automaticamente la Costituzione, dovremmo averci fatto il callo, però questa della cancellazione del diritto allo studio è una panzana talmente colossale che si fa notare.

Diritto allo studio vuol dire, citando la Costituzione (art.34), che la scuola è aperta a tutti, che quella dell’obbligo è gratuita e che i capaci e meritevoli devono poter completare il loro percorso di istruzione, anche se privi di mezzi.

Esattamente quale di questi principi verrà cancellato dalla riforma non è chiaro, ma in fondo che importanza ha? Quando si fa una sparata del genere l’importante non è che sia vera, ma che ci sia qualcuno disposto a crederci. E qualcuno ci crede sempre.

L’Università italiana non funziona, ma non c’entrano niente né la Gelmini né la sua riforma che, se tutto va bene, andrà in vigore dall’anno prossimo. L’Università da noi va a rotoli da molto prima che Berlusconi e il suo governo iniziassero ad interessarsene, ma è praticamente irriformabile: puntualmente ogni progetto di riforma viene bocciato con sdegno dai soliti noti per i quali c'è sempre bisogno di “ben altro” e, ovviamente, di “più soldi”.

Senza investimenti non si va da nessuna parte, ma i soldi non sono tutto. I sistemi scolastici di Stati Uniti e Gran Bretagna, che fanno brillare gli occhi degli intervistati “sorteggiati” di Ballarò, sono certamente più efficienti di quello italiano, ma nell'ultimo decennio hanno visto peggiorare i loro risultati malgrado l'aumento dei fondi investiti dell’ordine del 3-5% all’anno.
il successo di un programma, di un progetto o di un ateneo si valuta dai risultati che raggiunge, non dai soldi che costa. Non è aprendo i cordoni della borsa indistintamente a tutti che ci si garantisce un sistema di qualità.

Con la riforma Gelmini per la prima volta al costo storico si sostituisce il costo standard per studente, il che vuol dire che certi atenei non potranno più pretendere più soldi di altri semplicemente perché “ce li avete sempre dati”.
Una parte (fino al 10%) del finanziamento alle Università verrà distribuita in base a risultati misurabili: ricerca e didattica. Vuol dire che chi è stato bravo si ritroverà con più soldi da spendere, chi è stato meno bravo dovrà mettere in soffitta qualche corso di laurea esotico oppure spiegare perché ha il bilancio in rosso. Cosa buona e giusta.
E, a proposito di diritto allo studio, la riforma istituisce il fondo per il merito che assegna borse di studio (che si aggiungono a quelle attuali) solo in base al merito e dà la possibilità agli studenti meno abbienti di frequentare l’università grazie ad un prestito da restituire dopo la laurea "secondo tempi parametrati al reddito percepito", come avviene in tanti paesi dove le cose funzionano molto meglio che da noi.

Tutte belle cose, ma, a sentire chi si arrampica sui tetti, con i tagli selvaggi che si prospettano resteranno solo delle scatole vuote. A prescindere dal fatto che il finanziamento annuale non c’entra nulla con la riforma, ma dipende dal Ministero dell’Economia,  i numeri dicono che Il finanziamento dell’Università previsto per il 2011 è di 6.9 miliardi. Nel 2007, con la cultura al potere, era di 7 miliardi. Taglio selvaggio cercasi.

Insomma, questa della cancellazione del diritto costituzionale allo studio merita di essere inserita tra le grandi teorie catastrofiste destinate, per fortuna, a non avverarsi mai.
Breve promemoria delle scadenze catastrofiche più imminenti:
2011 - Cancellazione del diritto allo studio in Italia. 2012 - Fine del mondo secondo la nota profezia Maya.
Ci ritroviamo qui nel 2013, quando non sarà successo niente di tutto questo e qualcuno dovrà inventarsi una teoria strampalata nuova per finire sui giornali. E ancora una volta ci sarà chi ci crederà, questa è la vera catastrofe.

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