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lunedì 28 febbraio 2011

La Stampa Libera


In Italia, si sa, la libertà di stampa è in costante pericolo, immersi come siamo in un regime che controlla tutti i mezzi di informazione, salvo poi esserne regolarmente insultato con cadenza quasi giornaliera.
Stranezze del belpaese, dove però la libertà dei giornalisti di pubblicare di tutto e di più, anche se si tratta di materiale divulgato illegalmente, è una cosa seria, strenuamente difesa dalla categoria a suon di piazze piene.

Succede però che la libertà di alcuni sia, o quantomeno sembri, stranamente più tutelata della libertà di altri.
E’ notizia dello scorso week end che i giornalisti Lino Jannuzzi (ex eletto di Forza Italia) e Sergio De Gregorio (attuale senatore del PdL), rispettivamente direttore e cronista del Giornale di Napoli negli anni ’80 sono stati condannati ad un risarcimento di 150,000 euro (che, con 20 anni di interessi, diventano 280,000) per aver scritto che il giudice istruttore del caso Tortora non fece un lavoro particolarmente brillante.

Il caso Tortora fu un esempio di giustizia spettacolo da manuale: personaggio televisivo allora notissimo, Tortora venne arrestato nel 1983 su iniziativa della procura di Napoli con l’accusa di traffico di droga. Accusa suffragata da prove definite schiaccianti e dal dito puntato di molti pentiti di camorra particolarmente malfamati e quindi “degni” della massima considerazione.

Tortora scontò sette mesi in carcere, e fu in seguito detenuto agli arresti domiciliari. Fu condannato in primo grado ad oltre 10 anni di reclusione, finché non venne fuori che la “prova regina”, cioè la presenza del suo nome nell’agendina di un camorrista, provava solo la leggerezza di che l’aveva ritenuta tale: l’agendina non era del camorrista, ma della donna che frequentava, e il nome scritto in essa non era nemmeno Tortora, ma Tortona.
Tortora venne assolto in appello e definitivamente prosciolto in cassazione dopo 4 anni di inferno giudiziario. Tornò in libertà e anche in tv, ma morì l’anno successivo.

La conclusione del caso Tortora portò al referendum per istituire la responsabilità civile dei magistrati. Una valanga di “Si” resi inutili da un comma della Legge Vassalli (se ne è parlato qui).

Oggi, per la prima volta, qualcuno paga per il caso Tortora, non un giudice, non un pubblico ministero, ma due giornalisti colpevoli, a vario titolo, di aver puntato il dito per indicare quello che chiunque avesse gli occhi aperti poteva vedere da solo.
Non troverete una riga su questa vicenda spulciando i siti dei giornaloni in prima linea nella lotta per la libertà di stampa e contro le leggi bavaglio. Dal Corriere a La Repubblica tutto tace.

Libertà di stampa difesa a suon di piazze piene dicevamo. Ma solo per chi scrive le cose “giuste”. Per gli altri le piazze restano vuote, se la cavino da soli.

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