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martedì 22 febbraio 2011

L'Occidente non dorma


Dopo quelli di Ben Ali e Moubarak anche l’ultraquarantennale potere di Gheddafi pare giunto al capolinea.
Certo il regime non è intenzionato a vendere la pelle a buon mercato e le notizie degli scontri di ieri ce lo confermano.
Nelle storie dei tanti moti di rivolta che stanno incendiando il medio oriente in questo 2011 non si erano mai visti raid aerei sui manifestanti: la reazione folle di un dittatore, ormai in guerra contro il suo popolo (che i governi europei, incluso il nostro, non avrebbero dovuto tardare a condannare senza se e senza ma) che ci dà la misura della volontà di una repressione violenta a sanguinaria  e certo non lascia intravedere la prospettiva di una transizione pacifica.

Ma la strada ormai pare tracciata: quando da un regime monolitico e senza crepe, come era quello libico, iniziano ad emergere distinguo e prese di distanza, anche ad alto livello, vuol dire che il dittatore ha i giorni contati.
E le defezioni di ministri e di alti diplomatici in giro per il mondo non sono certo mancate nelle ultime 24 ore.
Quando poi un Imam che predica abitualmente a 40 milioni di telespettatori arriva a dire che “chiunque nell'esercito libico sia in grado di sparare un pallottola a Gheddafi dovrebbe farlo” vuol dire che lo scaricabarile ha raggiunto livelli terminali.
Il potere di Gheddafi potrà procrastinare la sua caduta fino a quando riuscirà a controllare l’esercito, ma se i soldati si uniranno ai rivoltosi (e già si segnalano i primi appelli di ufficiali libici in tal senso) l’accelerazione impressa sarà di quelle conclusive. Non si tiene in mano un paese solo con mercenari e miliziani.

La caduta di una dittatura è sempre una buona notizia e si può solo sperare che questo risultato non esiga altri tributi di sangue dai manifestanti e di angoscia dai familiari del tanto personale straniero (anche italiano) che risiede in quei paesi, ma saremmo degli ingenui se ci illudessimo che quello che sta accadendo nel nord Africa sia necessariamente il preludio all’allargamento dei confini della democrazia nel mondo, come ha fatto chi ha paragonato il crollo dei regimi mediorientali a cui assistiamo oggi al collasso degli stati satelliti dell’Unione Sovietica avvenuto sul finire degli anni ‘80.

Oggi non siamo nel 1989 e il nord Africa non è l’est Europa. L’effetto domino può ricordare quello  degli eventi avvenuti “oltre cortina” 20 anni fa, ma le analogie si fermano qui. E' tutto da dimostrare che nei paesi teatro delle rivoluzioni di queste settimane la transizione possa portare ad una democrazia di stampo occidentale, come avvenne allora.
E’ il background ad essere diverso: la libertà religiosa, la libertà di parola e di dissenso,  l’uguaglianza tra le etnie e perfino tra i sessi sono valori e punti di riferimento che in quei contesti dovranno faticare per affermarsi, così come il rispetto per i meccanismi del processo democratico senza tentazioni di scorciatoie autoritarie basate sulla forza. Per adesso, dove le dittature sono già cadute come in Tunisia ed Egitto, i segnali sono timidi.

L’occidente deve sapere da che parte stare anche se non può certo interferire militarmente con i moti di piazza, e un minuto dopo la caduta dei  regimi deve cercare di ritagliarsi un ruolo diplomatico  che non sia solo quello di spettatore. Non c’entra l’imperialismo, ma la necessità di aiutare quei popoli ad indirizzare la transizione dei loro governi verso soluzioni che tutelino le libertà individuali.
Il passaggio da una tirannia all’altra (magari di stampo militare o religioso islamico)  non giustificherebbe certo il prezzo di sangue che viene pagato in queste ore.

Già oggi, nella parte orientale della Libia, si sente parlare dell’instaurazione di un Emirato Islamico sotto il controllo diretto degli estremisti vicini ad Al Qaeda. L’Occidente non dorma, perché altri non lo faranno.

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