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lunedì 21 febbraio 2011

La Riforma Possibile


La Riforma della Giustizia è la madre di tutte le riforme, lo pensiamo in tanti.
E non perché ci sia qualcuno convinto che la separazione delle carriere, o la riforma del CSM, siano un companatico che si può dar da mangiare alla gente, ma perché chiunque non si copra gli occhi con le pagine di Repubblica vede benissimo che il conflitto perenne con la giustizia impedisce alla politica, non solo a quella di destra, di avere la forza per impostare quel lavoro incisivo e a lungo termine necessario per dare al paese le risposte economiche e sociali che possono per davvero fare la differenza nella vita di tutti i giorni della gente comune.

La Riforma della Giustizia va fatta e va fatto subito, perché l’orologio della legislatura va avanti e due anni passano in fretta.

Due giorni fa Berlusconi ha rilanciatoRipresenteremo tutte le riforme della giustizia, nei prossimi giorni convocherò un consiglio dei ministri straordinario. Metteremo mano anche alla Corte costituzionale, oggi cancella leggi giustissime".
Non solo separazione delle carriere e separazione del CSM dunque, ma anche riforma profonda della Consulta, della sua composizione e del suo funzionamento "Saranno necessari i 2/3 dei componenti per abrogare le leggi in modo da evitare che si ripetano le situazioni oggi, quando il Parlamento discute una legge, la approva e se non piace ai magistrati di sinistra, la impugnano davanti alla Consulta che, essendo costituita in prevalenza da giudici che provengono dalla sinistra, la abroga".

Tutto giusto, ma serve anche pragmatismo e non deve farci difetti la memoria storica.
A meno che non ci siano i 2/3 dei voti in aula (e non ci saranno) una riforma non è in cassaforte quando passa in parlamento, il sigillo deve metterlo il referendum confermativo, un terreno sul quale è molto facile finire a gambe all’aria.
Ricordiamoci quello che successe meno di 5 anni fa e cerchiamo di non ripetere gli stessi errori: la riforma costituzionale approvata dall’allora CdL nella legislatura 2001-2006 rivoltava come un calzino l’ordinamento dello stato: rafforzava i poteri del premier introducendone l’elezione diretta; poneva rimedio, grazie alla devolution, al caos dei conflitti di competenze tra regioni e stato introdotto dal centrosinistra con la sciagurata riforma del Titolo V; riduceva il numero dei parlamentari e aboliva il bicameralismo perfetto introducendo il Senato delle Regioni.

Tutte cose che, se spiegate bene e fatte digerire nei tempi giusti, la gente, almeno quella di centrodestra, avrebbe capito e condiviso.
Come andò a finire ce lo ricordiamo tutti: il popolo che appena un paio di mesi prima aveva dato alla CdL quasi il 50% dei consensi rigettò in massa quella proposta di riforma.

Di chi la colpa? Del centrosinistra certo, che portò avanti una campagna di balle colossali, con i consueti toni catastrofisti, annunciando ai quattro venti che se avesse vinto il “Si” l’Italia sarebbe più o meno finita il giorno dopo. Ma questo dobbiamo aspettarcelo anche stavolta, se vogliamo un  finale deve essere il centrodestra a giocare la partita in modo diverso.

Cosa fare quindi? Per cominciare evitiamo interventi troppo estesi e complessi, riformiamo quello che davvero ha urgenza di essere riformato, intervenendo sulla separazione delle carriere (e sulle intercettazioni, che non necessitano revisioni della Carta) e lasciamo il resto a chi verrà dopo.
Una riforma per essere confermata dal voto deve essere capita e questo presuppone che si muova su poche linee direttrici, chiare e ben definite. Perché, quando la gente non capisce, sceglie sempre la via della conservazione dell’esistente piuttosto che il salto nel buio.

Costruire intorno alla riforma il consenso consapevole dell’opinione pubblica è importante almeno quanto ricercare i numeri per farla approvare dalle Camere. Questo deve essere ben chiaro alla maggioranza se non vogliamo rivedere la replica del film andato in onda nell’estate di cinque anni fa. Se questo progetto resterà chiuso nelle aule parlamentari, e non "passerà" anche nelle piazze, nelle strade e nelle case, ci ritroveremo presto al punto di partenza.

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