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mercoledì 2 febbraio 2011

Chi li tocca muore


Martiri e servi sono sempre esistiti. Sono due categorie che fanno parte della natura umana da prima ancora che qualcuno decidesse di dar loro un nome.
Martire è chi viene perseguitato per le proprie idee, servo è chi ad esse è disposto a rinunciare pur di trovare riparo sotto l’ala protettrice dei potenti e vivere tranquillo.
Sono etichette che vanno per la maggiore anche nel mondo della politica e in quello dell’informazione, che per sua natura è spesso a contatto con il potere (anzi, con i poteri) e dove si sono ormai affermate da tempo le sottocategorie del giornalista martire e del giornalista servo.

Il giornalista servo lavora al Giornale, a Libero (che faccia tosta a chiamarsi così) o fa il direttore del TG1 a legislature alterne (cioè quando governa il centrodestra). E’ soggetto a trattamenti privilegiati del tutto sconosciuti alla maggior parte dei suoi colleghi: può fare il direttore di testata ed essere esentato dal tedioso obbligo di fare editoriali, al punto che quando gliene scappa uno si trova addosso un mare di gente preoccupata per la sua salute che gli intima di pensare a risposarsi.
Gode di periodi di vacanza fino a sei mesi (poi ridotti a tre per non scatenare pericolose invidie) grazie ad un programma premio speciale chiamato “sospensione dall’Ordine dei Giornalisti”.
Può contare sulla sicurezza della sua redazione (e della sua abitazione privata) grazie a frequenti visite dei carabinieri ordinate da premurosi magistrati che non si dimenticano mai di lui, e che, quando si accorgono che l’interesse è reciproco, gli manifestano inequivocabili segni della loro attenzione con perquisizioni fin nelle parti intime nell’ambito di indagini per un reato, l'abuso e la rivelazione di segreto di ufficio (su un procedimento chiuso quasi 30 anni fa),  che evidentemente è perseguito solo quando riguarda “Ilda la Rossa” & Co, tanto che ne avevamo colpevolmente dimenticato l’esistenza, occupati come siamo a leggere ed ascoltare sui media ogni genere di documento secretato, proveniente dalle procure di mezza Italia, su indagini ancora in corso.

Tutt’altra storia è la vita dei martiri: quelli televisivi subiscono singolari forme di persecuzione: che si chiamino Santoro o Ferrario hanno un posto in prima serata (fino ad età pensionabile e probabilmente tramandabile per via ereditaria a figli, parenti e affini) garantito addirittura per legge, o meglio, per sentenza (del tribunale del lavoro). Possono mandare il loro direttore generale a quel paese in diretta senza temere di dover scontare nessuna seria pena disciplinare, e se questo poi si azzarda (per la verità maldestramente) a telefonare in trasmissione bastano un paio di minuti per fargli capire chi è il padrone e sbattergli il ricevitore in faccia senza tanti complimenti.
Poi ci sono i martiri della carta stampata, quelli che organizzano manifestazioni per la libertà di stampa messa a rischio da opprimenti minacce come le esternazioni pubbliche del premier o il frequente ricorso ad “azioni in sedi giudiziarie”, e due giorni dopo si vedono recapitare un pacco dono da 750 milioni di Euro, pescato proprio dal salvadanaio del Premier (roba che anche un’azienda come Mediaset può restarci secca sul colpo) per gentile concessione di un magistrato che lavora nella disagiata sede giudiziaria di Milano, ed è quindi a sua volta membro di una sottocategoria notoriamente soggetta ad intimidazioni e bisognosa di  sostegno in quanto sprovvista di mezzi per difendersi dalle angherie dei servi. Tra perseguitati ci si capisce al volo.

E’ un paese alla rovescia quello in cui i servi si ritrovano in mutande davanti alle forze dell’ordine, dopo essere stati buttati giù dal letto all’alba senza nemmeno essere indagati, e in cui i martiri, tra un piagnisteo e l’altro, fanno il bello e il cattivo tempo, certi come sono di avere un avvocato in ogni palazzo senza nemmeno doverlo pagare, di non essere soggetti a  regolamenti interni o a gerarchie aziendali, e in definitiva di non dover rispondere a nessuno, perché ormai si è sparsa la voce, anche i sassi lo hanno capito e si regolano di conseguenza: Che siano martiri con il microfono, con la penna o con la toga è meglio girare al largo. Chi li tocca muore.

2 commenti:

  1. Un grande affresco dell'italia di oggi, dilaniata da fazioni che hanno i loro padroni a sfidarsi per il primato della "roba". Servi e martiri, spesso di sinistra hanno la loro "roba" non solo nel potere economico ma oggi in quello subalterno che sono i media (libri, giornali, televisioni) da dove è più facile arringare le masse, i popoli. Devo dissentire sul paese alla rovescia. E' proprio degli italiani ("Hai serva italia") fare le vittime. Ma diamoci una mossa che il mondo è in fiamme...
    oppiodeipopoli.blogspot.com

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  2. E' vero, il vittimismo è tratto tipicamente nostrano. Se vuoi fare un dispetto a qualcuno togligli tutti i motivi che ha per lamentarsi, tempo un giorno tornerà a chiederti di restituirgliene almeno uno.
    Ho scritto che è un mondo alla rovescia perché vedere i servi messi alla berlina mentre i martiri brandiscono la mannaia è bizzarro anche per gli standard di un'Italia abituata a (quasi) tutto.

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