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giovedì 24 febbraio 2011

Minaccia Fondamentalista


Credo sia questione di giorni, non di piu'”. L’ex rappresentante della Libia presso la Lega Araba Abdel Moneim al-Honi non ha dubbi, il destino del regime libico è segnato.

E del resto quando un dittatore ordina di dar fuoco ai pozzi di petrolio vuol dire che probabilmente è  consapevole di essere alle corde. Il tono farneticante del discorso di martedì sera fa pensare ad un tiranno  senza più niente da perdere e quindi pericolosissimo, ma arrivato agli ultimi colpi di coda, che potrebbe finire suicida nel suo bunker, come altri “illustri” predecessori.
In queste ore si moltiplicano le notizie di città o di intere aree del territorio libico sottratte al controllo del regime e non mancano nemmeno segnali di scollamento dell’esercito: le diserzioni non si contano, molti ufficiali fanno ormai apertamente causa comune con i rivoltosi e questo, di solito, è preludio ad una rapida caduta del dittatore di turno.

C’è però una complicazione rispetto a quello che abbiamo visto avvenire in Egitto: in Libia l’esercito non ha una guida chiara e in ogni caso si tratta di un corpo male armato e male addestrato. Non è un mistero che Gheddafi non abbia mai voluto un esercito forte, proprio per allontanare la minaccia di un colpo di stato militare e non è un caso che nella sua ora più difficile il dittatore beduino si sia affidato a mercenari e miliziani reclutati in giro per l’Africa, più che ai suoi militari.
Ecco perché anche un voltafaccia di ampi settori delle forze armate potrebbe non essere sufficiente a portare ad una transizione rapida e soprattutto chiara.

Il rischio non è solo quello di una guerra civile che si protrae per giorni o settimane (difficile comunque pensare che possa durare di più visto il rapido evolversi degli eventi), ma anche e soprattutto quello di una Libia in cui, nelle varie zone, si affermano gruppi di potere a macchia di leopardo, legati alle diverse appartenenze tribali e con il forte rischio di infiltrazioni da parte di gruppi vicini ad Al Qaeda, che già si muovono sul territorio, pronti a mettere la loro bandiera sul sacrificio di migliaia di persone.

In questo blog è stato detto due giorni fa: L'Occidente non dorma, perché altri non lo faranno.
La conferma che nell’est del paese si sta instaurando un emirato islamico a guida Qaedista è un segnale della necessità di non perdere altro tempo.  Questa crisi va “indirizzata” il prima possibile con aiuti concreti alle forze che spingono per uno sbocco democratico che garantisca la libertà del popolo libico, o rischiamo di ritrovarci uno stato fondamentalista che si affaccia sul mediterraneo.

L’Europa come al solito tentenna e negli USA il Presidente Obama ha taciuto fino a poche ore fa. Segnali non proprio entusiasmanti.
C’è solo da sperare che nelle stanze dei bottoni dell’occidente ci si renda conto della posta in gioco: la caduta di Gheddafi è un’opportunità, ma non coglierla potrebbe trasformarla in una sconfitta e, potenzialmente, in una minaccia.

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