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venerdì 18 febbraio 2011

Futuro e Ambiguità


Il partito del maldipancia, così si potrebbe ribattezzare il FLI. Ma ormai non si parla più solo di intellettuali che alzano la voce o di mugugni post congressuali. Quello a cui stiamo assistendo in queste ore è un vero e proprio smottamento dei gruppi parlamentari.
E per un partito che esiste solo nei palazzi, che non ha mai preso un voto, non essendosi ancora presentato a nessuna elezione, perdere parlamentari non è una grana da poco.

Sarebbe davvero inutile negare l'evidenza: il progetto di Futuro e Libertà vive un momento difficile, sta attraversando la fase più negativa da quando, con la manifestazione di Mirabello, ha mosso i primi passi” ha ammesso questa mattina Gianfranco Fini dalle colonne de “il Secolo”.
L’individuazione del colpevole è presto fatta: il Presidente della Camera attribuisce la diaspora futurista alle “tante armi seduttive di cui gode chi governa” e in particolare al suo “potere mediatico e finanziario che è prudente non avversare direttamente”.

I parlamentari che abbandonano lo sponde finiane lo fanno quindi perché stanno cedendo alle lusinghe del potere economico berlusconiano al quale non si può dire di no: lo spirito è pronto, ma la carne è debole.
Non fa una piega, peccato che tutti gli eletti che oggi siedono tra i banchi di FLI e permettono al partito di Fini di avere un gruppo parlamentare alla Camera e (ancora per poco) uno al Senato sono lì perché sei mesi fa hanno fatto il percorso inverso, e da quel potere economico irresistibilmente attrattivo si sono staccati, arrivando di recente a sbattergli in faccia una bella sfiducia con voto palese in entrambi i rami del parlamento.

L’analisi auto assolutoria di Fini finge di non vedere che il suo movimento non subisce nessuna cannibalizzazione, sta solo tornando alle sue dimensioni naturali. Se per alcuni mesi FLI è parso avere un futuro da partito e non solo da partitino è stato grazie alla vaghezza e all’ambiguità della sua offerta politica, che gli ha permesso di attrarre soggetti con storie ed obiettivi molto diversi tra loro, presentandosi come il movimento della guerra santa antiberlusconiana e, al tempo stesso, come terza gamba della maggioranza prima e come forza riformatrice di centrodestra poi. Una specie di specchio magico in cui ognuno vedeva riflessa la propria immagine.

Ma certi equivoci hanno vita breve, un soggetto politico non può essere una cosa e il suo contrario.  Quando, da Bastia Umbra in avanti, la maschera a due facce è caduta sono venuti allo scoperto i lineamenti di un partito in cui i falchi dettano la rotta e le colombe fanno numero, un movimento rancoroso, convintamente antigovernativo e pronto a fare un patto col diavolo pur di buttar giù Berlusconi. Chi a questa linea era estraneo ha capito di essere mille miglia lontano dalla terra promessa e ha iniziato a guardarsi intorno chiedendosi se ci fosse un treno, un autobus o un somaro per tornare indietro.

Perché non puoi dirti di centrodestra e strizzare l’occhio a Vendola, non puoi dirti bipolarista e fondare il terzo polo con chi il bipolarismo lo vuole seppellire, non puoi votare la riforma dell’Università e salire sui tetti, non puoi dirti garantista e cavalcare il fango dei processi mediatici, non puoi parlare di valori liberali e usare i toni e gli accenti di Di Pietro.

Caro Fini, nella disgregazione del tuo partito non c’entra l’attrattiva di un potere economico che non si può avversare. Tutt’altro, avversare quel potere in Italia è la scorciatoia più veloce per guadagnarsi visibilità, riflettori, microfoni e buona stampa.
Il punto è un altro: oggi FLI appare per quello che è, e non può quindi più attrarre sulla base di quello che dice di essere, pur non essendolo. Ecco perché i finiani perdono pezzi, e continueranno a farlo. Ad emorragia ultimata resteranno gli antiberlusconiani a prescindere, orgogliosi e fieri di esserlo, in parlamento come in piazza. Ma non chiamatela destra.

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