Come sarebbe andata a finire era già chiaro dopo appena 20
minuti, è stato in quel momento che il Presidente Obama ha guardato in faccia i
quasi 70 milioni di americani che lo stavano ascoltando per dire che il 6
novembre in sostanza dovranno scegliere tra due approcci che sono già stati
sperimentati in passato: quello di Bush contro quello di Clinton.
Difficile stabilire se sia stato più audace assimilare il
programma di Romney a quello di Bush o quello dell’attuale amministrazione a
quello di Clinton, ma il punto non è questo. Il punto è che quel passaggio è
stato uno dei rari momenti del dibattito in cui Obama è sembrato un Presidente
con dei risultati da rivendicare “abbiamo creato 23 milioni di posti di lavoro
e trasformato un deficit in un surplus”. Numeri pesanti.
Peccato che fossero numeri non suoi. Quando Bill Clinton,
tra il 1993 e il 2001, portava a casa questi risultati Barack Obama era in
Illinois ad insegnare diritto costituzionale e se mai è entrato nelle “stanze
dei bottoni” di Washington l’ha fatto da semplice visitatore.
Prendere a prestito i record altrui significa certificare di non averne uno proprio.
Prendere a prestito i record altrui significa certificare di non averne uno proprio.
“Giovedi mattina avremo una gara ribaltata” aveva previsto Chris Christie a pochi giorni di distanza dal primo match televisivo tra i due
candidati alla Casa Bianca. E’ troppo presto per dargli ragione, ma su una cosa
sembra esserci un (raro) consenso bipartisan: quella di Romney mercoledi notte
è stata una delle vittorie più nette nella storia recente dei dibattiti
presidenziali americani: è stato più deciso del Presidente, più efficace del
Presidente, perfino più presidenziale del Presidente.
Obama per contro è stato sulla difensiva dall’inizio alla
fine, vago nei contenuti e mai incisivo nella forma. Una delle cose più vicine
ad una sedia vuota che un Presidente degli USA in piedi dietro ad un podio potesse ricordare.
Viene da chiedersi se Clint Eastwood abbia doti divinatorie.
I numeri dei sondaggi condotti la sera del dibattito da
media tradizionalmente obamiani lasciano pochi dubbi: secondo la CNN 67
elettori registrati contro 25 assegnano il dibattito a Romney e per la CBS 46
elettori indecisi contro 22 la pensano allo stesso modo.
Sempre secondo la CBS prima del dibattito meno di un indeciso su tre pensava che il candidato repubblicano avesse a cuore i suoi problemi e
bisogni. Dopo il dibattito questa percentuale è più che raddoppiata (63%),
anche se il dato di Obama resta più alto (69%).
Su 100 elettori indecisi ben 56 contro 11 hanno spento la tv
mercoledi notte con un’opinione di Romney migliore di quando l’avevano accesa,
mentre solo 13 contro 17 hanno detto la stessa cosa di Obama.
I numeri di un instant poll non sono da prendere come una
verità rivelata, ma qualunque margine d’errore si voglia considerare, anche a
due cifre, la sostanza del risultato non cambia.
E se è vero che la misura di una vittoria si giudica anche
dalla reazione degli sconfitti a Romney non deve essere dispiaciuto vedere Chris
Matthews perdere letteralmente le staffe in diretta tv mentre si chiedeva “Dov’era
Obama stasera? non so cosa stesse facendo là fuori. Dovrebbe guardarsi un po’
di tv via cavo e imparerebbe qualcosa sui dibattiti ogni sera, non so come
abbia potuto permettere a Romney di passarla liscia con tutta la merda
(testuale) che ha detto stasera. Cosa stava facendo Romney? Stava vincendo.
Altre cinque serate come questa e (Obama) ha chiuso”.
E’ improbabile che questo dibattito, da solo, possa essere
il game changer della partita di novembre (non ci dimentichiamo che anche
Reagan nel 1984 perse il primo dibattito con Mondale, ma andò comunque a
vincere l’elezione 49 stati a 1), ma può aiutare ad invertire la tendenza di
una campagna che sembrava scivolare via, settimana dopo settimana, con un
vincitore già scritto e uno sfidante incapace di graffiare. Quello di mercoledì
notte è stato un Romney all’attacco dalla prima all’ultima battuta, un Romney
che potrebbe aver capito che i 270 voti elettorali che servono per vincere deve
andarseli a prendere, che questa elezione non gli cadrà magicamente tra le mani
solo perché il suo avversario ha governato male per quattro anni.
Servirà qualche giorno perché i sondaggi possano dirci
quanto il primo dibattito abbia spostato l’equilibrio della gara. Quello che
Romney deve sperare è di arrivare al secondo round con una partita davvero
riaperta.
Difficile aspettarsi che Obama si presenti in modalità “sedia
vuota” anche ai prossimi due appuntamenti, ma (primarie democratiche a parte),
la sua storia politica è fatta quasi esclusivamente di vittorie in carrozza e
la pressione di un testa a testa potrebbe anche giocargli brutti scherzi.
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