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lunedì 15 ottobre 2012

Advantage Romney?



Ho avuto una serataccia e il Governatore Romney ha avuto una buona serata. Ma la cosa importante è che i fondamentali di questa gara non sono cambiati”. Così Barack Obama pochi giorni fa tirava le somme della peggior settimana (almeno finora) della sua campagna per la rielezione.
I fondamentali non sono cambiati, è vero, ma se si parla dei fondamentali dell’economia americana non è che dalle parti di Pennsylvania Avenue ci sia molto da festeggiare perché nessun presidente è riuscito a farsi rieleggere nella situazione in cui Obama si presenta al voto di novembre: la disoccupazione sopra l’8% per 43 mesi consecutivi (che è scesa al 7.8% nel mese di settembre solo perché sempre più persone rinunciano a cercare lavoro e quindi “escono” dal denominatore della statistica), un debito pubblico esploso oltre il 100% del GDP (il nostro PIL) e una crescita economica al ritmo di lumaca (noi in Italia metteremmo la firma per un Pil che cresce dell’1%, ma negli USA sono abituati a standard diversi).

E’ convinzione abbastanza comune che Obama sia in corsa per farsi rieleggere malgrado i suoi risultati, più che in forza di essi. Normalmente numeri come quelli elencati sopra hanno sul retro l’invito a lasciare la stanza ad un nuovo inquilino con un preavviso di diversi mesi. Nel caso di Obama non è così e in molti si sono chiesti perché.
La risposta è in una parola sola: Likability, ovvero la capacità di piacere. E non c’è dubbio che Obama ne abbia più di tutti gli sfidanti che si è trovato a fronteggiare da quando è diventato “presidential material”.
Obama non trasmette il calore di un Reagan o di un Clinton, è molto più a suo agio davanti alla platea distante e senza volto di un’arena che nel contatto diretto con le persone, ma la sua retorica davanti al teleprompter, unita al seguito adorante di buona parte dei media d’America, lo hanno reso oggetto in questi anni di una specie di culto della personalità: qualunque sia la tua opinione lui è sempre la persona più intelligente nella stanza. Che ti piaccia o no non puoi non esserne intimidito. E se non vedi i suoi risultati è perché non sai dove guardare, è colpa tua, meglio far finta di niente e continuare ad applaudire o qualcuno se ne accorgerà.
Ecco perché il dibattito di Denver ha prodotto effetti così dirompenti: Romney è stato il primo a far  apparire Obama come qualcuno con poco da dire. Cose che i culti della personalità digeriscono male.
In un colpo solo Romney è passato da inseguitore senza speranza a front runner, tanto che è forse ora di rivedere i paragoni: l’ex governatore del Massachusetts somiglierà pure al John Kerry del 2004 ma oggi la sua posizione ricorda quella di Bush 43 nello stesso anno: avanti nella media RCP di 1.3 punti con poco più di 20 giorni all’elezione. Nella storia recente nessuno sfidante è andato in testa nel mese di ottobre senza vincere l’election day e anche Bush, che sfidante non era, si fece bastare quel vantaggio per restare in sella per altri quattro anni.

Tutto in discesa dunque? No. E non solo perché a separarci dal 6 novembre ci sono ancora due dibattiti in cui Obama cercherà la rivincita, ma anche perché dal 2004 molte cose sono cambiate in America, ad iniziare dalla demografia.
Tra gli stati in bilico North CarolinaFloridaVirginia e Ohio tendono a dare al candidato repubblicano di turno un risultato superiore alla sua media nazionale (molto superiore nel caso della North Carolina,  poco superiore o uguale nel caso dell’Ohio). Se facciamo un gioco e ipotizziamo che questo scenario si ripeta anche nel 2012 (tralasciando per un momento il fatto che quest’anno in Ohio il “fattore auto” potrebbe perturbare questa tendenza) un Romney che arrivasse a novembre in vantaggio di 1.3 punti nel voto popolare potrebbe aspettarsi di avere in tasca 266 voti elettorali.



Grasso che cola rispetto ai numeri che circolavano solo un paio di settimane fa. Ma 266 voti elettorali non bastano. Per vincere Romney avrebbe bisogno di incasellare almeno un altro stato, ed è qui che iniziano i problemi.
Nel 2004 Bush portò a casa Nevada e Colorado con un vantaggio su Kerry superiore a quello registrato nel voto popolare nazionale. Erano stati che votavano repubblicano più della media della nazione.
In questi otto anni la crescita dell’elettorato ispanico ha sostanzialmente modificato questo scenario. Se la distribuzione del voto risultasse identica a quella del 2008 un Romney in vantaggio a livello nazionale di 1.3 punti   perderebbe il Nevada di quasi 4 punti e lascerebbe sul campo al fotofinish anche il Colorado (oltre a New Hampshire e Iowa), perdendo l’elezione 272 a 266.


Certe tendenze si evolvono nel tempo in modi solo in parte prevedibili e ipotizzare una distribuzione del voto identica a quella di 4 anni fa è una pura ipotesi di scuola. Ma se nel 2000 fu il democratico Al Gore a perdere l’elezione pur avendo raccolto più voti del repubblicano Bush quest’anno non si può escludere lo scenario opposto.

Anche per questo Romney non può accontentarsi del vantaggio risicato che i sondaggi gli danno da qualche giorno e più che difendere i punti acquisiti deve cercare di segnarne di nuovi. A cominciare da domani notte, nel dibattito in formato town hall, con un pubblico di elettori indecisi a fare le domande agli sfidanti.
Nel 1992 il primo town hall debate mise la pietra tombale sulle speranze  di rielezione di Bush 41. Alla domanda “come sei stato toccato personalmente dal debito pubblico?” Bush, che si era appena fatto pizzicare dalla telecamera a guardare l’orologio, rispose con imbarazzo e in termini generici. Clinton si avvicinò alla donna di colore che aveva posto la domanda e le disse “parlami ancora di come ha toccato te”. A metà di quella frase le valigie dei Bush erano già in viaggio per il Texas. La capacità di relazionarsi con i problemi della gente comune è la chiave del successo in questo tipo di dibattito.


Martedi dobbiamo aspettarci un Obama più aggressivo di quello di Denver, ma attaccare troppo l’avversario quando la gente ti pone questioni sulla sua vita di tutti i giorni non è una strategia vincente, perché il pubblico a casa si identifica molto di più con un elettore indeciso che con un moderatore di professione e trasformare le sue domande in pretesti per dare addosso a chi sta dall’altra parte dello studio non è telegenico. Il metodo Biden forse dovrà aspettare.

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