Seguire le notizie sui media nostrani ormai è come passare
una serata al cinema, le notizie stanno
ai fatti come i film stanno ai libri da cui sono tratti: Sono “liberamente
ispirate a”. Poi c’è lo sceneggiatore che romanza quel tanto che basta per rendere
il prodotto vendibile, c’è la colonna sonora che massimizza l’impatto emotivo,
e all’occorrenza possono spuntare fuori personaggi inventati qua e là per
riempire qualche buco nella trama.
L’ultimo film l’abbiamo visto ieri sera.
“Obama vince il secondo dibattito e pareggia il conto” abbiamo letto un po' ovunque e “stavolta sono tutti d’accordo” sentenziava il TG5 (edizione della 20:00): Romney ha vinto l’andata, Obama ha vinto il ritorno. Pari e patta. Uno a uno.
Aspettiamo lo spareggio.
Poi però uno pensa che nel primo round Romney ha messo a
segno la più netta vittoria della storia dei dibattiti presidenziali americani, con un distacco variabile tra 42 e 52 punti, e conclude che per recuperare una
batosta simile, che ha spostato l’equilibrio della gara più di quanto chiunque
si sarebbe aspettato, Obama aveva bisogno di prevalere con uno score almeno
paragonabile.
L’ha fatto? Vediamo: finora sono disponibili solo due instant
poll sul dibattito di martedi:
Il primo è quello della CBS che dà Obama vincitore per il
37% degli intervistati, Romney per il 30% mentre per il 33% è stato un pareggio, con il 4% di
margine d’errore su ciascuna di queste cifre.
In un match in cui Obama aveva bisogno di un’affermazione
netta il 63% degli intervistati non lo ha indicato come vincitore. E più o meno
la stessa percentuale (65% contro 34%) ha assegnato la preferenza a Romney sull’economia.
Il secondo sondaggio, quello che avete sentito citare in
lungo e in largo dalle nostre parti, è quello della CNN: Obama vincente per il
46%, Romney per il 39% con un 15% di indecisi (4.5% di margine d’errore).
Se però non ci si ferma al titolo e si vanno a leggere i dati si scopre che, anche in questo caso, Romney risulta in vantaggio
sull’economia (58 a 40), ma anche sul deficit (49 a 36), sulle tasse (51 a 44),
sulla “leadership forte” (49-46) e sulla sanità (49-46). Ovvero su tutto quello
che passa per la testa dell’americano medio quando va a votare.
Lo stesso sondaggista della CNN attribuisce la percezione
della vittoria risicata di Obama nel suo campione al “gioco delle aspettative” (che
nel caso del presidente erano le più basse possibili dopo la disfatta di
Denver) e conclude che dal punto di vista dell’elezione di novembre il dibattito "va considerato un pari" perché gli spostamenti di consenso, se ci sono stati, si sono annullati a vicenda.
Avete mai visto una squadra vincere 6-0 l’andata,
pareggiare, o perdere con un goal di scarto il ritorno, e andare ai tempi
supplementari? No. Perché non è un pareggio.
Ma il TG1 delle 13:00 ieri si è spinto oltre, riferendo di
fantomatici sondaggi in cui, dopo il dibattito, il presidente era in risalita.
Considerando che ancora oggi non esistono sondaggi con dati post-dibattito si
fa fatica a capire a cosa facesse riferimento ieri la conduttrice di
“mamma Rai”.
Intanto nel mondo reale Romney conduce con un vantaggio che
oscilla tra 1 e 2 punti secondo Rasmussen e ieri si è visto assegnare un +6 da
Gallup (troppo bello per essere vero) che deve aver rovinato più di una digestione tra Washington e Chicago.
In attesa di misurare l’impatto del round di martedi la gara resta aperta. Per tutti tranne che per gli Obama boys e e le Obama girls sparsi per le redazioni.
Per loro la partita è archiviata da tempo. O almeno dovrebbe
esserlo in un mondo perfetto in cui i fatti vengono rimpiazzati dalle fantasie
di chi scrive sui giornali, fantasie in cui ogni riferimento a persone
esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.
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