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giovedì 25 ottobre 2012

Le Previsioni del Voto



A 12 giorni dal voto in America entrambi i candidati si dicono sicuri della vittoria e diversamente dal solito non è facile capire chi stia bluffando perché la media dei sondaggi li dà separati da poche incollature e, quel che è peggio, i dati presi singolarmente oscillano selvaggiamente mostrando a ore alterne Romney avanti di 5, Obama avanti di 4, Romney avanti di 4, Obama avanti di 3.

Ma anche assumendo che ad avere ragione sia questo o quel sondaggista resta il problema che questa elezione si decide sul voto dei singoli stati, non sul complessivo nazionale. Soluzione ovvia:  i sondaggi statali, ce ne sono in abbondanza, ma quanto c'è da fidarsi?
La media RCP nazionale ha i suoi difetti, dà lo stesso peso a sondaggi più o meno seri, ma bisogna ammettere che nel 2004 e nel 2008 ha sbagliato il risultato finale di appena qualche decimale. Le previsioni sugli stati sono altrettanto affidabili? Se ad esempio consideriamo che la media RCP nel 2008 ha mancato il risultato esatto di 2 punti Ohio, 2.5 in Indiana, 3 in Pennsylvania, 3.5 in Colorado, 5 in Arizona e 6 in Nevada il dubbio viene.
In un’elezione come quella 2012, che potrebbe giocarsi su un pugno di voti in due o tre stati, margini del genere possono cambiare tutto.

Una chiave di lettura diversa (che non pretende di sostituire i sondaggi statali, ma di aiutare ad interpretarli) possiamo averla vedendo quali sarebbero i risultati dei singoli stati se questi mantenessero scostamenti dalla media nazionale simili a quelli avuti in passato. Certi stati votano repubblicano più della media nazionale, altri premiano di più il candidato democratico. Non sono tendenze statiche, variano nel tempo, ma non cambiano dall’oggi al domani e se alcuni stati hanno un’evoluzione più veloce (per motivi demografici) altri si mantengono abbastanza stabili.

Se prendiamo i risultati ottenuti dai candidati dei due partiti negli undici swing states nelle ultime tre elezioni e li confrontiamo con il risultato che gli stessi candidati hanno raggiunto su base nazionale otteniamo la tabella qui sotto.

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Prendiamo ad esempio la Pennsylvania: Nel 2000 il candidato democratico Al Gore ottenne nel Keystone State il 50.60%, un dato 1.05 volte migliore del suo risultato nazionale (48.38%).  Per Bush invece il risultato in Pennsylvania (46.43%) fu peggiorativo rispetto al suo dato nazionale (47.87%) e il suo coefficiente è quindi 0.97.
Procedendo così anche per le elezioni 2004 e 2008 ogni partito ha tre coefficienti (K Dem e K Gop) per ogni stato. I coefficienti definiscono un range (intervallo) che varia tra un maSsimo e un minimo.
I colori evidenziano l’evoluzione del voto del singolo stato rispetto alla media nazionale.
Come si vede la Pennsylvania è stabilmente un blue state che dà al candidato democratico un risultato migliore della sua media nazionale (coefficienti democratici sempre maggiori di 1 e coefficienti repubblicani sempre minori di 1), anche se nella tornata del 2008 la tendenza è andata leggermente attenuandosi (il blu è più pallido).

Sono invece “instabili” il Colorado e soprattutto il Nevada, che partono con coefficienti “rossi” e si spostano poi verso il blu. Vuol dire che, se la tendenza si mantiene, per vincerli il candidato repubblicano di turno deve avere un chiaro vantaggio nazionale.

L’obiettivo è quello di trasformare i dati nazionali dei due candidati in probabili range di risultati negli 11 singoli swing states, ipotizzando una distribuzione del voto che vari all’interno di  quella delle ultime tre elezioni.
E’ un sistema che funziona piuttosto bene per gli stati con comportamenti stabili e meno bene per quelli come Colorado e Nevada (elettorato ispanico in veloce aumento) o Virginia e North Carolina (maggiore partecipazione dell’elettorato di colore, che vota per Obama al 90-95% e rende poco significativi i riferimenti del 2000 e del 2004).

Se per il dato nazionale ci affidiamo ad una media degli ultimi sondaggi Rasmussen (che hanno oscillato tra Romney 47 – Obama 46 e Romney 50 – Obama 46)  e ipotizziamo Romney al 48.5% e Obama al 46% (alla fine entrambi avranno numeri più alti via via che gli indecisi prenderanno posizione) si ottengono questi range.

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Per i quattro stati più “instabili” (Colorado, Nevada, North Carolina e Virginia) si hanno (in teoria) risultati migliori dalla versione del modello tarata unicamente sulla distribuzione del voto del 2008.

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E questa è la mappa elettorale corrispondente: Romney a 266 voti elettorali, con l'obbligo di portare a casa almeno uno tra Colorado, Iowa e New Hampshire (che lo vedrebbero in testa di misura) per superare la "magica" quota 270.

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Se confrontiamo i range dei distacchi così "previsti" con quelli degli ultimi sondaggi statali Rasmussen si vede subito che due stati stonano ai limiti del margine d’errore: Colorado e Ohio.

Il 50-46 per Romney previsto l'altroieri da Rasmussen farebbe pensare ad un Colorado che si muove indietro verso il 2004. Visto il suo continuo spostamento verso il blu dell’ultimo decennio ci si aspetterebbe una gara più ravvicinata.

In Ohio invece succede il contrario: un candidato repubblicano avanti su base nazionale non dovrebbe avere problemi a portare a casa i 18 voti elettorali del Buckeye State, invece ancora oggi nessun sondaggio ha dato Romney in testa e l’ultimo Rasmussen dà lui e Obama appaiati al 48%. Se non si tratta di un grosso abbaglio collettivo vuol dire che quest’anno gli effetti del salvataggio obamiano del settore auto (spina dorsale dell’economia da quelle parti) potrebbero portare l’Ohio ad uscire decisamente dal suo range, diventando più ostico per Romney di quanto si poteva prevedere.

Per andare alla Casa Bianca Romney deve quasi certamente vincere l’Ohio e molto probabilmente anche il Colorado (che può però essere sostituito da Iowa o New Hampshire). Sono queste le gare che decideranno chi andrà alla Casa Bianca.

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