A 12 giorni dal voto in America entrambi i candidati si
dicono sicuri della vittoria e diversamente dal solito non è facile capire chi
stia bluffando perché la media dei sondaggi li dà separati da poche
incollature e, quel che è peggio, i dati presi singolarmente oscillano selvaggiamente
mostrando a ore alterne Romney avanti di 5, Obama avanti di 4, Romney avanti di
4, Obama avanti di 3.
Ma anche assumendo che ad avere ragione sia questo o quel
sondaggista resta il problema che questa elezione si decide sul voto dei
singoli stati, non sul complessivo nazionale. Soluzione ovvia: i sondaggi statali, ce ne sono in abbondanza,
ma quanto c'è da fidarsi?
La media RCP nazionale ha i suoi difetti, dà lo stesso peso
a sondaggi più o meno seri, ma bisogna ammettere che nel 2004 e nel 2008 ha
sbagliato il risultato finale di appena qualche decimale. Le previsioni sugli stati sono altrettanto affidabili? Se ad esempio consideriamo che la media RCP nel 2008 ha
mancato il risultato esatto di 2 punti Ohio, 2.5 in Indiana, 3 in
Pennsylvania, 3.5 in Colorado, 5 in Arizona e 6 in Nevada il dubbio viene.
In un’elezione come quella 2012, che potrebbe giocarsi su un
pugno di voti in due o tre stati, margini del genere possono cambiare tutto.
Una chiave di lettura diversa (che non pretende di sostituire i sondaggi statali, ma di aiutare ad interpretarli) possiamo averla vedendo quali sarebbero i risultati dei singoli stati se questi mantenessero
scostamenti dalla media nazionale simili a quelli avuti in passato. Certi stati
votano repubblicano più della media nazionale, altri premiano di più il
candidato democratico. Non sono tendenze statiche, variano nel tempo, ma non
cambiano dall’oggi al domani e se alcuni stati hanno un’evoluzione più veloce (per
motivi demografici) altri si mantengono abbastanza stabili.
Se prendiamo i risultati ottenuti dai candidati dei due
partiti negli undici swing states nelle ultime tre elezioni e li confrontiamo
con il risultato che gli stessi candidati hanno raggiunto su base nazionale
otteniamo la tabella qui sotto.
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Prendiamo ad esempio la Pennsylvania: Nel 2000 il candidato
democratico Al Gore ottenne nel Keystone State il 50.60%, un dato 1.05 volte
migliore del suo risultato nazionale (48.38%).
Per Bush invece il risultato in Pennsylvania (46.43%) fu peggiorativo
rispetto al suo dato nazionale (47.87%) e il suo coefficiente è quindi 0.97.
Procedendo così anche per le elezioni 2004 e 2008 ogni
partito ha tre coefficienti (K Dem e K Gop) per ogni stato. I coefficienti definiscono
un range (intervallo) che varia tra un maSsimo e un minimo.
I colori evidenziano l’evoluzione del voto del singolo stato
rispetto alla media nazionale.
Come si vede la Pennsylvania è stabilmente un blue state che
dà al candidato democratico un risultato migliore della sua media nazionale
(coefficienti democratici sempre maggiori di 1 e coefficienti repubblicani
sempre minori di 1), anche se nella tornata del 2008 la tendenza è andata
leggermente attenuandosi (il blu è più pallido).
Sono invece “instabili” il Colorado e soprattutto il Nevada,
che partono con coefficienti “rossi” e si spostano poi verso il blu. Vuol dire
che, se la tendenza si mantiene, per vincerli il candidato repubblicano di
turno deve avere un chiaro vantaggio nazionale.
L’obiettivo è quello di trasformare i dati nazionali dei due
candidati in probabili range di risultati negli 11 singoli swing states,
ipotizzando una distribuzione del voto che vari all’interno di quella delle ultime tre elezioni.
E’ un sistema che funziona piuttosto bene per gli stati con comportamenti
stabili e meno bene per quelli come Colorado e Nevada (elettorato ispanico in
veloce aumento) o Virginia e North Carolina (maggiore partecipazione
dell’elettorato di colore, che vota per Obama al 90-95% e rende poco
significativi i riferimenti del 2000 e del 2004).
Se per il dato nazionale ci affidiamo ad una media degli
ultimi sondaggi Rasmussen (che hanno oscillato tra Romney 47 – Obama 46 e
Romney 50 – Obama 46) e ipotizziamo
Romney al 48.5% e Obama al 46% (alla fine entrambi avranno numeri più alti via
via che gli indecisi prenderanno posizione) si ottengono questi range.
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Per i quattro stati più “instabili” (Colorado, Nevada, North Carolina e Virginia) si hanno (in teoria)
risultati migliori dalla versione del modello tarata unicamente sulla distribuzione del voto del 2008.
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E questa è la mappa elettorale corrispondente: Romney a 266 voti elettorali, con l'obbligo di portare a casa almeno uno tra Colorado, Iowa e New Hampshire (che lo vedrebbero in testa di misura) per superare la "magica" quota 270.
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Se confrontiamo i range dei distacchi così "previsti" con quelli degli
ultimi sondaggi statali Rasmussen si vede subito che due stati stonano ai
limiti del margine d’errore: Colorado e Ohio.
Il 50-46 per Romney previsto l'altroieri da Rasmussen farebbe pensare ad un
Colorado che si muove indietro verso il 2004. Visto il suo continuo spostamento verso il blu dell’ultimo decennio ci si aspetterebbe una gara più ravvicinata.
In Ohio invece succede il contrario: un candidato repubblicano avanti su base nazionale non dovrebbe avere problemi a portare a casa i 18 voti elettorali del Buckeye State, invece ancora oggi nessun sondaggio ha dato Romney in testa e l’ultimo Rasmussen dà lui e Obama appaiati al 48%. Se non si tratta di un grosso abbaglio collettivo vuol dire che quest’anno gli effetti del salvataggio obamiano del settore auto (spina dorsale dell’economia da quelle parti) potrebbero portare l’Ohio ad uscire decisamente dal suo range, diventando più ostico per Romney di quanto si poteva prevedere.
Per andare alla Casa Bianca Romney deve quasi certamente
vincere l’Ohio e molto probabilmente anche il Colorado (che può però essere
sostituito da Iowa o New Hampshire). Sono queste le gare che decideranno chi
andrà alla Casa Bianca.
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