Sei giorni all’ora della verità e apparentemente le carte non
sono mai state così confuse.
Il devastante passaggio dell’uragano Sandy sulla costa ovest
non ha lasciato senza luce solo qualche decina di milioni di persone, ma ha
mandato in black out anche i sondaggi che da un paio di giorni ormai escono con
il contagocce (l'ultimo Rasmussen di un'ora fa dà Romney avanti 49 a 47).
Con quaranta americani morti sotto le macerie ovviamente né
i candidati né i loro staff parlano delle possibili ripercussioni della
catastrofe sulla corsa presidenziale, ma state certi che, discorsi ufficiali a
parte, ci pensano.
La verità è che, se ripercussioni ci saranno, è difficile
prevedere in che direzione: c’è chi dice che aiuteranno Obama dandogli l’occasione di
mostrarsi presidenziale e “al comando” della nazione, altri invece fanno notare
che in alcuni stati della costa est il passaggio di Sandy ha bloccato, o quantomeno
rallentato, il processo di voto in anticipo (early voting).
Perché in America l’election day è anche oggi, come lo era
ieri o due settimane fa. In molti stati è già da tempo possibile recarsi al
seggio elettorale e si prevede che all’alba del 6 Novembre non meno del 30%
del totale dei partecioanti avrà già votato in anticipo.
Storicamente l’early voting è un territorio di caccia
democratico: nel 2008 secondo Gallup Obama staccò McCain di ben 15 punti tra i
votanti in anticipo (55 a 40), ed è quindi naturale assumere che ogni intoppo o ritardo nel
meccanismo dell’early voting impatti più pesantemente sul campo democratico che
in quello repubblicano. O almeno così ci si aspetta che sia negli stati in bilico come l’Ohio, mentre globalmente la dinamica quest’anno potrebbe essere sostanzialmente diversa da
quella di quattro anni fa.
Sempre Gallup infatti prevede che a livello nazionale il processo di voto anticipato potrebbe quest’anno chiudersi in pareggio (49 a 49) dando Romney addirittura in vantaggio (52 a 46) tra quelli che avevano già votato il 28 ottobre.
Sempre Gallup infatti prevede che a livello nazionale il processo di voto anticipato potrebbe quest’anno chiudersi in pareggio (49 a 49) dando Romney addirittura in vantaggio (52 a 46) tra quelli che avevano già votato il 28 ottobre.
Numeri quasi troppo belli per essere veri, quindi da prendere con le molle, ma che se fossero confermati sarebbero una gran bella notizia per il
candidato repubblicano.
I dati reali disponibili sull’early voting sono frammentari
e poco dettagliati, tanto che entrambi i campi possono utilizzarli per cantare
vittoria: i democratici sostengono di essere in vantaggio negli stati che
contano, i repubblicani rispondono che quel vantaggio è ridotto all’osso
rispetto a quattro anni fa. Se questo sarà o meno sufficiente a cambiare
il risultato finale degli stati in questione lo vedremo.
Nel frattempo la strategia di Romney in questa ultima
settimana di campagna elettorale è quella di espandere la mappa cercando di
mettere in gioco stati considerati solidamente democratici.
Così si spiega la decisione della macchina elettorale
repubblicana di acquistare spazi pubblicitari in mercati “vergini” come la
Pennsylvania e il Minnesota.
La Pennsylvania manda in bianco i repubblicani
ininterrottamente dal 1992, George W. Bush provò seriamente a portarla nella
sua colonnina sia nel 2000 che nel 2004 senza mai riuscirci. Per ritrovare un
Minnesota colorato di rosso invece non basta nemmeno risalire a Reagan, bisogna
arrivare ai tempi della valanga di Nixon (1972). Improbabile che Romney riesca davvero a spuntarla
da quelle parti ma il fatto stesso che ci provi è comunque un segnale.
In casa democratica si cerca di paragonare la mossa di Romney a quella disperata di McCain 2008 che vedendosi ormai sconfitto su tutti i fronti, tentò la carta a sorpresa facendosi vedere proprio in Pennsylvania nelle ultime ore prima dell’election day.
In casa democratica si cerca di paragonare la mossa di Romney a quella disperata di McCain 2008 che vedendosi ormai sconfitto su tutti i fronti, tentò la carta a sorpresa facendosi vedere proprio in Pennsylvania nelle ultime ore prima dell’election day.
La differenza non sta tanto nell’azione, quanto nella reazione: giusto in queste ore la macchina elettorale obamiana ha acquistato qualche milione di dollari in spazi pubblicitari proprio in Pennsylvania, inserendo il Keystone State nel programma
di viaggio di Joe Biden (ci farà tappa domani), mentre in Minnesota è previsto addirittura l’arrivo di Bill Clinton. Mosse di copertura in un certo
senso “obbligate”, ma anche il segno che quegli stati non vengono più
considerati del tutto sicuri.
A ridosso del 6 Novembre e con le bocce tenute forzatamente
ferme per giorni la cosa più preziosa per entrambe le campagne è il tempo, ogni minuto passato in Pennsylvania e Minnesota è un minuto in meno da spendere dove conta davvero e nessuno lo fa senza motivo. Ma, indipendentemente dalle reali possibilità di Romney di essere competitivo in questi Blue States, indurre l’avversario a dirottare tempo, soldi e energie qua e là sulla mappa
elettorale è un’altra delle strategie per provare a vincere quella gigantesca
partita a scacchi che sono le presidenziali americane.
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