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giovedì 13 settembre 2012

Romney al Kerry?





Etichettare Mitt Romney come il John Kerry dei repubblicani non è una trovata originale, ci hanno già pensato in tanti.
Entrambi moderati (troppo moderati per le ali estreme dei rispettivi partiti), entrambi con alle spalle una carriera politica costruita nel Massachusetts, entrambi multimilionari ed entrambi chiamati in momenti diversi a sfidare un Presidente in carica abbastanza debole da essere battibile, con il compito di portargli via voti al centro. Come paragone non è dei migliori perché Kerry la sua elezione la perse.

La lista delle similitudini in questi giorni tende ad allungarsi.
Secondo alcuni (ad esempio Politico.comRomney, come Kerry nel 2004, è uscito dalla fase delle convention con meno credibilità nel ruolo di commander in chief.
Non aver citato le truppe e la guerra in Afghanistan nel suo acceptance speech è parso ad alcuni uno scivolone in un momento in cui Obama può rivendicare l’uccisione di Bin Laden, sottolineare che l’accoppiata Romney-Ryan è digiuna di esperienza in politica estera e nella gestione di situazioni che fanno parte della vita quotidiana di un comandante in capo, ed essere il primo democratico da qualche generazione a presentarsi all’elezione di novembre con un vantaggio sulla National Security.

Nel 2004 Bush raddrizzò la sua campagna riuscendo a far apparire Kerry come un leader senza una linea chiara e precisa sulla guerra al terrorismo.
Fu così che Bush, arrivato alla convention del Madison Square Garden dopo aver passato l’estate ad inseguire nei sondaggi il suo avversario democratico, ne uscì con un rimbalzo tale da portarlo la settimana successiva avanti di 7 punti, un distacco che Kerry riuscì poi a limare ma mai a colmare, finendo sconfitto a novembre.

Lo stato della gara del 2012 non è identico a quello di otto anni fa, ma le similitudini non mancano, e la sovrapposizione delle curve RCP (2012 e 2004) lo conferma.

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In entrambi i casi l’equilibrio del mese di agosto è stato rotto nella seconda settimana di settembre da un chiaro balzo in avanti del Presidente in carica, in difficoltà su molti di fronti, ma in grado di far risaltare con il suo carisma (nel caso di Obama) e con la forza del suo ruolo (in quello di Bush) le debolezze dell’avversario.

Le somiglianze però potrebbero fermarsi qui: tanto per cominciare la distanza che si è aperta tra i candidati è al momento meno ampia di quella del 2004 e soprattutto è improbabile che la politica estera abbia lo stesso peso che ebbe nel 2004 in una campagna, come quella di quest’anno, che si gioca quasi tutta sull’economia.
Come del resto fu in quella del 2008, in cui essere visto dagli americani come un migliore comandante in capo non salvò McCain dall'andare sotto di 10 milioni di voti.

E se è vero che le notizie che vengono dalla Libia, con le commemorazioni dell'11 settembre ancora fresche nella memoria, hanno spostato l'attenzione fuori dai confini, è anche vero che stavolta è la linea di Obama ad essere messa in discussione. E allora resta da vedere se il bounce post convention di Obama (che comunque solo in parte può essere dovuto alla sicurezza nazionale) possa avere effetti oltre la prossima settimana o se sia invece destinato a sgonfiarsi con l’avvicinarsi del primo dibattito, fissato per il 3 ottobre.

Karl Rove parla di una partita aperta in Ohio e registra miglioramenti nella posizione di Romney in quattro dei cinque stati sondati lo scorso fine settimana: Florida, North Carolina, New Mexico e New Jersey (gli ultimi due Solid Obama senza discussioni), mentre il solo stato di Washington (altro solid Obama) sarebbe andato in direzione opposta.

Sul fronte nazionale la situazione non è delle più stabili anche se Romney non è in testa in nessun sondaggio da ormai una settimana quindi il “vantaggio Obama” non si discute.
C’è però chi, come Rasmussen, parla senza mezzi termini di “bounce finito” riportando gli sfidanti su livelli pre-convention (Obama +1, con Romney addirittura in vantaggio 48 a 47 se si contano gli indecisi) e chi, come Gallup, pare aver messo il pilota automatico nella direzione opposta (ieri siamo arrivati a Obama +7).

Mentre tentiamo di capirci qualcosa un uccellino ci ricorda che oggi, quattro anni fa, McCain era sopra di due punti abbondanti nella media RCP, quindi forse è il caso di mettersi calmi e tranquilli e aspettare che i trend si stabilizzino.

Non è però un bel segno che su un tema come la creazione dei posti di lavoro, che dominerà questa campagna fino all'ultimo giorno e che dovrebbe essere il cavallo di battaglia di Romney e uno dei talloni di Achille di Obama, il Presidente sia avanti 47 a 45.
Al di là di tutti i numeri in altalena questo per il GOP è un campanello d’allarme.

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