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lunedì 17 settembre 2012

La Stampa Liberal





Una delle scene più famose di Fahrenheit 9/11, il film documentario (se così lo vogliamo chiamare) di Micheal Moore, è quella di George W. Bush che l’11 settembre 2001, in una classe di seconda elementare, legge  “My Pet Goat” (La Mia Capretta) per diversi minuti dopo aver ricevuto la notizia degli attacchi alle Torri Gemelle.
A prima vista è una sequenza grottesca, in realtà in quella fase, quando nessuno aveva ancora in mano le informazioni minime per capire cosa stesse succedendo, non c’era molto che un Presidente potesse fare e aver evitato di perdere la testa, di mollare tutto e fiondarsi fuori da quell’aula, ebbe il solo effetto di risparmiare ai presenti un attacco di panico. Vallo a spiegare a Micheal Moore: ma come? New York brucia e te ne stai lì a leggere una storia per bambini? Imperdonabile anche per un repubblicano texano.

Nell’undicesimo anniversario di quel giorno, martedi scorso, le ambasciate americane sono state letteralmente messe sotto assedio in non meno di venti paesi a maggioranza islamica e a Bengasi c’è scappata addirittura l’uccisione di un ambasciatore e di altri tre diplomatici, un fatto senza precedenti negli ultimi 30 anni. Una situazione di pericolo che non ha impedito al Presidente Obama di andarsene a Las Vegas per una raccolta fondi elettorale.
Se una cosa del genere l’avesse fatta Bush come minimo qualcuno avrebbe già in cantiere un altro film.

I media liberal hanno invece messo a tacere velocemente l’episodio concentrando il loro biasimo su Mitt Romney, colpevole di aver polemizzato con la linea di politica estera di Obama in un momento in cui le circostanze avrebbero richiesto un “cessate il fuoco” verbale. Ha provato a sfruttare politicamente un lutto dell’intero paese. Vergogna.
Sono d’accordo.
Peccato che in passato chiunque sia stato nella posizione di farlo si sia comportato nello stesso modo.  E peccato che nel luglio di quattro anni anche l’allora senatore e candidato alla presidenza Barack Obama abbia preso spunto dall’uccisione di nove soldati americani in Iraq per attaccare la “mancanza di strategia” del Presidente in carica e soprattutto del suo sfidante dell’epoca: John McCain.



Non si ricordano prese di distanza sdegnate, ma forse è un difetto di memoria. O forse sono due pesi e due misure.

Lo scorso 10 settembre Marc A. Thiessen , ex speechwriter di George W. Bush, ha rivelato che il Presidente Obama diserta circa il 56%  degli incontri quotidiani di intelligence alla Casa Bianca (a differenza del suo predecessore che non se ne perdeva uno), percentuale non smentita da nessuno. I disordini in medio oriente hanno proiettato questa notizia nel dibattito elettorale e il campionario delle giustificazioni è di quelli che merita di essere passato in rassegna.

Un columnist del Washington Post ha spiegato che Obama non partecipa a questi meeting perché semplicemente “non ci sono meeting a cui partecipare” (testuale), le abitudini alla Casa Bianca sono cambiate dai tempi di Bush, aggiornatevi. 
Ok abbiamo capito. Però c’è un problema: se non ci sono più meeting di intelligence Obama ha saltato il 56% di cosa? Come si calcola il 56% di zero?
La risposta dell’amministrazione Obamasubito ripresa dalla stampa amica, è stata meno campata per aria, ma anche più audace: Il Presidente  non partecipa perché non ne ha bisogno, essendo “uno dei più sofisticati lettori di intelligence del pianeta” (testuale) può limitarsi a leggere il materiale presentato durante i meeting senza bisogno di partecipare ai meeting stessi. D’altronde Bush veniva aggiornato verbalmente tutti i giorni solo perché “voleva leggere meno” (sempre testuale).

Riassumendo:
Obama va a Las Vegas nel mezzo di una crisi internazionale e sul banco degli imputati ci finisce Romney.
Obama diserta sei meeting di intelligence su dieci e la colpa è di Bush che non se ne perdeva uno solo perché, in sintesi, non sapeva leggere.

Capito come funziona? Don’t believe the liberal media.


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