Alcuni sostengono che l’efficacia di uno slogan si misuri
dalla probabilità che ha di finire attaccato sui paraurti delle macchine.
Nel 2008 negli Stati Uniti le scritte “Hope” e “Change” frequentavano
il posteriore delle auto del contribuente medio quasi quanto le targhe e i tubi
di scappamento.
Il messaggio della campagna obamiana era semplice, immediato
e la retorica del candidato democratico alla Casa Bianca faceva il resto.
Quattro anni dopo molte cose sono cambiate: Nella convention democratica
di Charlotte la parola d’ordine era “Forward”, cioè andare “Avanti”, ma avanti
per fare cosa, e soprattutto per andare dove, è meno chiaro.
Obama la settimana scorsa è andato in North Carolina a dire
agli americani che ci vorrà ancora tempo per rimettere la baracca in sesto, che
in sintesi vuol dire che se gli daranno altri quattro anni ci sono speranze che nel suo secondo mandato l'amministrazione democratica inizi
a curare quelle ferite che (nelle parole dello stesso Obama quattro anni fa) a
quest’ora dovevano già essere cicatrizzate.
“If I don't have this done in three years, then
there's going to be a one term proposition” (“Se non ce la faccio in tre
anni questa presidenza sarà un affare di un solo mandato”) aveva detto il Presidente pochi
giorni dopo aver preso residenza in Pennsylvania Avenue.
Con il mercato del lavoro piatto, la disoccupazione che non
scende sotto l’8% da quattro anni (malgrado molti americani abbiano nel
frattempo smesso anche di cercarlo un lavoro, a beneficio dell’indice
statistico), che vuol dire 23 milioni di disoccupati, un deficit e un debito
fuori controllo è chiaro che il lavoro non solo non è finito, ma è ancora tutto
da fare.
L’avversario più pericoloso per Obama oggi appare essere lo stesso
Obama, ancora più dell’accoppiata Romney-Ryan, visto lo stridente contrasto tra
il suo messaggio del 2008 e quello del 2012, che i repubblicani naturalmente
non mancano di sottolineare.
Quattro anni fa c’era un progetto, oggi è rimasto un generico
invito ad andare avanti senza certezze e con nemmeno troppe speranze su cosa ci
sia al termine del cammino. Verrebbe voglia di dire che il Presidente si muove
sulle orme di Jimmy Carter. Con la bella differenza che Carter non aveva un
Bill Clinton a risolvergli la convention (e il bounce degli ultimi giorni lo
dimostra) e soprattutto aveva Ronald Reagan dall’altro lato della barricata.
Ma se “Forward” non è esattamente un messaggio che mobilita
le masse, l’altro giorno dalla Casa Bianca ne è venuto fuori
(involontariamente) uno anche peggiore.
Obama, commentando gli aggiornamenti di agosto sulla disoccupazione
(96,000 occupati in più, un dato accolto in modo bipartisan come deludente), ha
affermato che si tratta comunque di un segno di progresso, ma non ha potuto sottrarsi dall'ammettere che “We know
it's not good enough” (“Sappiamo che non è abbastanza”).
Se fossi nei panni del comitato elettorale di Romney non mi
farei scappare l’occasione di prendere al volo la citazione e fare di “Not Good
Enough” uno dei tormentoni dell'offensiva cartellonistica e non solo che invaderà le città e le tv degli USA nei prossimi 60 giorni.
Sui paraurti d’America farebbe un figurone.
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