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martedì 18 settembre 2012

Debolezza di Costituzione





Il ritorno in campo, o forse sarebbe meglio dire il ritorno in acqua, di Berlusconi era talmente annunciato che non ha sorpreso nessuno. Così come le reazioni del giorno dopo.
Berlusconi è stato l’elemento polarizzante della politica italiana degli ultimi 18 anni. I ruoli del pro e dell’anti-Cav ormai si recitano a memoria. Con Berlusconi di nuovo in campo tanti attori rimasti per mesi senza battute, da una parte e dall’altra, sapranno finalmente cosa dire.

Berlusconi ancora leader del centrodestra italiano non è una bella notizia, non per l’uomo in sé, ma perché certifica l’incapacità di quest’area politica di proporre una guida diversa senza rischiare di scomparire.
E’ improbabile che Berlusconi torni per fare di nuovo il Premier, difficilmente potrà avere i numeri  per vincere le prossime elezioni e garantirsi una maggioranza autonoma alla Camera e al Senato. L’idea è probabilmente quella di rimotivare la base per evitare di ripetere il disastro delle ultime amministrative, e avere il maggior peso possibile nel prossimo parlamento in cui la maggioranza al Senato potrebbe non averla nessuno.

Comunque si giudichi il personaggio almeno una delle cose uscite fuori da quella nave da crociera va presa molto sul serio: l’Italia ha davvero bisogno di cambiare la sua Costituzione. Berlusconi l’aveva già detto e non è stato il primo a farlo, ci hanno già provato in tanti, hanno fallito tutti.
Dagli anni ’90 in poi ci siamo auto convinti di essere entrati nella Seconda Repubblica, suonava così bene da sembrare vero. Il bipolarismo ci ha illusi di poterci addirittura scegliere il Premier, ma nella realtà i nostri meccanismi istituzionali sono ancora gli stessi del dopoguerra.
Gli ultimi dodici mesi, che hanno visto andare al governo del paese dei tecnici votati da nessuno, per chiamata diretta da parte di un Presidente della Repubblica designato da un parlamento di nominati, ci hanno riportati alla realtà: L’Italia è democratica per sentito dire, scimmiotta le democrazie evolute finché la barca va, ma al momento opportuno è pronta a mettere tutto in soffitta e a farlo con il più ampio consenso parlamentare della storia Repubblicana.

Il fatto che a più di sei mesi dalle prossime elezioni qualcuno pensi di poter già designare il prossimo capo del governo dimostra quanto poco il popolo sia sovrano nei fatti, e quanto le elezioni siano ancora, per alcuni, uno scomodo passaggio obbligato da archiviare il giorno dopo.
Perché vincolarsi per cinque anni alla monotonia di una scelta di legislatura e tarpare le ali alle fantasiose dinamiche del nostro parlamentarismo? Nei palazzi romani la creatività italica esprime il meglio di sé a suon di ribaltoni, maggioranze variabili, cambi di casacca in corsa, rimpasti, crisi al buio, alla penombra, al lume di candela.
Vogliamo davvero privarci di tutto ciò per un concetto così volatile e astratto come il rispetto della volontà popolare? La volontà popolare qualcuno l’ha mai vista per strada?
Gli impegni a lunga scadenza non fanno per noi. Mani libere e vediamo che succede, questo è il costume nazionale. D’altronde se siamo un paese che inizia le guerre da una parte e le finisce dall’altra un motivo ci sarà.

Questo è il primo ostacolo al cambiamento in Italia, al cambiamento vero, non a quello buono per gli slogan d’occasione. Diciamolo chiaro: chiunque vinca le elezioni in questo paese può sperare al massImo di spostare gli zero-virgola da una colonna all’altra.
La facoltà di decidere in Italia è talmente frazionata in decine di piccoli e grandi centri di potere da aver praticamente smesso di esistere: sindacati, confindustria, magistratura, associazioni, corporazioni, banche, un’infinità di livelli istituzionali, tutti con qualcosa da difendere e con qualcosa da dire. Tutti consapevoli che il Premier di turno è un impiegato a tempo con il contratto da rinnovare in parlamento ogni tre mesi, il primo esempio di lavoro precario che abbiamo inventato in Italia. Ha il potere di proporre educatamente quello che la sua (sempre variegata) maggioranza gli consente, ma se alza la voce basta una bella mozione di sfiducia e l’incomodo è tolto.
Un Premier in Italia può sperare di portare avanti un progetto solo se trova su di esso il consenso pressoché unanime di persone che di norma non vanno mai d’accordo tra loro. Il che significa un perenne compromesso al ribasso in cui si decide di non decidere, ma lo si fa tutti d’accordo, così funziona la concertazione.

In poco più di sessant’anni l’Italia ha avuto 61 governi, nessuno è mai arrivato alla scadenza naturale della legislatura e 34 sono durati meno di un anno. Il primo problema di un Premier in Italia non è quello di governare, è quello di sopravvivere.

Negli USA si vota per la Camera e il Senato il primo martedi di novembre degli anni pari e il Presidente giura puntualmente a Capitol Hill il 20 gennaio ogni quattro anni, ci potete rimettere gli orologi.
Una democrazia vera è quella in cui chi vince le elezioni governa con la forza di chi il mandato l’ha  ricevuto dal popolo, non dai partiti e partitini della sua maggioranza che possono tenerlo sotto ricatto, e non ha bisogno di ulteriori legittimazioni fino alle elezioni successive.
E al termine naturale del suo mandato si ripresenta davanti agli elettori che decideranno se ha fatto bene o ha fatto male.

L’Italia non somiglia nemmeno da lontano a questa descrizione, e non basta cambiare le maggioranze e nemmeno gli uomini per sperare di poter risolvere i problemi che ci portiamo dietro da decenni, perché è la nostra stessa architettura istituzionale ad impedirlo a chiunque ci provi sul serio, e a dare un valido alibi a chi voglia solo fingere di farlo. E’ una debolezza di sistema. Una debolezza di Costituzione.


Domani si torna a parlare di America (e se volete un esempio di cattivo giornalismo in materia cliccate qui)

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