ADNKronos Politica


venerdì 31 dicembre 2010

Insulto di Stato



Ingiustizia è fatta: Il presidente brasiliano Lula non ha concesso l'estradizione di Cesare Battisti in Italia.
Così per l'ex terrorista, che in Italia dovrebbe scontare l'ergastolo, si aprono prospettive di libertà a brevissimo termine, anche se la partita non è ancora definitivamente chiusa.

Non si tratta solo di uno schiaffo, grave, alle vittime di questo assassino e ai loro familiari, ma di un'offesa  all'Italia intesa non come governo, ma come paese nella sua interezza.
L'Italia, il paese che ha inventato il diritto (malgrado tutto quello che si può dire oggi sulla cattiva salute della nostra giustizia), può accettare che uno stato estero non le restituisca un soggetto, che qui da noi ha commesso quattro omicidi, con la motivazione che all'interno dei nostri confini rischierebbe di essere perseguitato per le sue idee politiche?

I moderati non sono persone in cerca di nemici, il moderato parla dei problemi per cercare risolverli, non per ingigantirli e usarli come pretesto per le proprie battaglie ideologiche preconcette, il moderato non legge i giornali con l'obiettivo di trovare un motivo al giorno per far finta di indignarsi e poi andare in piazza a sfogare il suo fanatismo  strillando dentro un megafono.
Il moderato sa che la politica estera è fatta anche di reciproche convenienze, di accordi e opportunità commerciali e capisce benissimo che questi accordi significano reddito e posti di lavoro per persone e famiglie e possibilità di sviluppo per il nostro sistema paese.

Ma di fronte ad uno sfregio di queste proporzioni dobbiamo, per una volta, mettere da parte la politica commerciale e rispondere per le rime, chiamando le cose con il loro nome: Battisti è un assassino, se lo stato brasiliano lo protegge si rende complice dei suoi crimini, se lo fa adducendo le motivazioni esposte sopra insulta l'Italia, le sue istituzioni e la sua gente.

Una decisione del genere richiede una risposta forte e chiara che può passare, per cominciare, anche dal ritiro del nostro ambasciatore.
Chi scrive, nel suo piccolo e per quanto poco possa contare, si impegna a non mettere piede in Brasile fin quando qualcuno non provvederà a rimediare e a chiedere scusa.

Le prese di posizione individuali e di parte però, per quanto numerose e convinte possano essere, non bastano, l'Italia oggi deve fare quello che, vista la sua storia, antica e recente, le riesce più difficile: dare una risposta unitaria, senza distinzioni di appartenenza politica, senza distinguo.
La nostra classe politica, per una volta, dovrebbe distogliere lo sguardo dal proprio orticello e mettere a punto un documento di condanna sottoscritto da tutti: dal leader del governo ai leader dell'opposizione.

Quanto più un paese riesce a parlare con una voce sola, tanto più questa voce viene ascoltata. E l'Italia, oggi, ha il diritto e il dovere di farsi sentire.

giovedì 30 dicembre 2010

Ius Primi Vesperis


Si dice che nel medioevo il signore di un feudo avesse il diritto di trascorrere la prima notte di nozze con le spose dei suoi servi: Ius Primae Noctis, ovvero il Diritto della Prima Notte.

Nell’Italia degli anni 2000 si sta affermando un altro diritto, non meno bizzarro e singolare: il Diritto della Prima Serata. Succede in pratica che un giornalista, un anchorman (o woman) o comunque un personaggio televisivo, una volta conquistato un suo spazio nelle prime serate RAI, acquisisca il diritto di mantenerlo a vita, con buona pace di direttori di testata, direttori di rete e direttori generali, cioè di tutta quella gente messa lì e pagata per decidere, in teoria, chi fa cosa e in che orari nei palinsesti della televisione pubblica.

A differenza del diritto di prima notte però, questa nostra riedizione moderna non si applica “di fatto”, ma è garantita dall’autorità giudiziaria che agisce in nome della legge e inoltre non è fatto valere per tutti, ma solo per “alcuni”: non si contano infatti i giornalisti e i presentatori di TG che nel corso degli anni sono andati e venuti, sono stati spostati, avvicendati, degradati o promossi, così come non si contano le trasmissioni che hanno aperto per poi chiudere e mai più tornare, senza che si levasse un alito di vento.
Tutto cambia però quando c’è sentore che il personaggio in questione appartenga ad un’area politica più uguale delle altre, allora l’avvicendamento diventa martirio e l’interessato una vittima della censura di regime. Il suo nome (magari sconosciuto ai più fino al giorno prima, nonostante la notorietà del volto) finisce su giornali e siti web e da lì sulla bocca di tutti. Nel giro di 48 ore assurge al ruolo di simbolo stesso della libertà di stampa e come tale diviene intoccabile, un oracolo da ascoltare in rispettoso silenzio.

Avevamo già il caso di Michele Santoro, che sta in prima serata tutte le settimane per ordine del giudice e che, appena pochi mesi fa, ammoniva il direttore generale Masi a non fargli scherzi perché la sentenza parla chiaro.

Ora c’è anche Tiziana Ferrario, che si è vista richiedere un passo indietro dopo appena 28 anni di conduzione del TG1, insomma una toccata e fuga, neanche il tempo  di sistemare le sue cose nei cassetti. Un’epurazione? Un’emarginazione? Oddio, parrebbe di no, se è vero che all’epoca dei fatti le venne offerto un ruolo di inviata in sedi come New York e Mosca, che non sono proprio disagiate o periferiche. Lei rifiutò sdegnosamente e, seguendo la “prassi Santoro”, si rivolse al tribunale del lavoro che, puntualmente, ieri le ha dato ragione, affermando il suo diritto a condurre il TG delle 20, presumibilmente fino ad età pensionabile.

Grande vittoria, esultano i paladini della libertà di stampa, il pluralismo è salvo.
Certo, in una RAI in cui i programmi di approfondimento sono fatti di inchieste “coraggiose” e umorismo “illuminato” rigorosamente a senso unico, pluralismo vuol dire aggiungere delle voci, purché dicano tutte la stessa cosa.
Se sei un direttore di testata che la pensa in un altro modo non ti puoi nemmeno permettere un editoriale al mese senza finire alla gogna sulla pubblica piazza. La tua voce non è richiesta, la tua libertà è un abuso, farai bene a ricordatelo.

Eccoli qui i nuovi martiri: esperti di diritti propri e di doveri altrui, travestiti da eroi scomodi  che bollano chi la pensa diversamente da loro con il marchio del servo ricorrendo ad immagini non proprio eleganti (si va da "Fido" a "Scodinzolini"). Viene da chiedersi come mai, se loro sono i martiri, le intercettazioni e le perquisizioni in redazione tocchino tutte ai "servi"...

A questo punto aspettiamo la prima sentenza che, oltre ai conduttori, stabilisca anche quali notizie dare e quali non dare. Unica garanzia per un’informazione finalmente “giusta” e “uguale per tutti”.

P.S. Il diritto di prima notte quasi certamente non è mai esistito, è un mito, una leggenda, come Babbo Natale e la Befana (chi ancora ci crede mi scusi per la rivelazione). Il diritto di prima serata invece in Italia lo abbiamo istituito sul serio, bel colpo.

mercoledì 29 dicembre 2010

Ultrà-violetto


In queste ultime due settimane ci è molto mancato il contributo equilibrato, misurato e puntuale di Fabio Granata: per mesi è andato quotidianamente in avanscoperta sparando verbalmente dovunque vedesse l'ombra di qualcosa di berlusconiano, ma, dopo la mancata sfiducia del 14 dicembre, e la nascita del terzo polo, ha messo la sicura. 
Fino a ieri, quando si è presentato davanti ai microfoni con una strepitosa sciarpa viola, modello No-B-Day, e, recuperato il tono ultrà che ce lo fa distinguere da un Bocchino qualsiasi, ha affermato
"E' vero: vogliono annientarci. Ma il mandante e' Berlusconi. Fli deve avere come ragione sociale unica demolire il berlusconismo", poi, con lo slancio di chi finalmente rivede la luce dopo settimane di forzata oscurità, ha proseguito dando la linea al partito:
"Dobbiamo reagire, sfiduciando Bondi e con alleanze che riescano a liberare l'Italia da Berlusconi e dal suo sistema di potere. Altro che moderatismo e responsabilita".

Una posizione singolare per chi è stato eletto grazie allo slogan "Berlusconi Presidente", però la coerenza gli va riconosciuta: anche lo scorso aprile Granata  gridava "basta con i moderatismi", certo, poi aggiungeva "con Fini e Berlusconi in testa, costruiamo l’Italia dell’innovazione e della modernità nel solco delle nostre straordinarie radici di civiltà e cultura", ma sono cose che si dicono nell'impeto dei sentimenti, senza pensarle veramente....a chi non è mai successo?

Visti i posti lasciati liberi di recente dai vari Razzi e Scilipoti, non ci saranno problemi per Granata a trovare spazio tra le file degli amici dell'IdV. La sciarpa ce l'ha già, e chi gli porta la valigia anche. Buon viaggio.

Date a Cesare quel che è di Cesare



Circolano strane voci su una presunta decisione del Presidente brasiliano Lula di non concedere l'estradizione in Italia di Cesare Battisti riconoscendogli lo status di rifugiato politico.
Battisti, ex terrorista dei Proletari Armati per il Comunismo con trascorsi da criminale comune, è stato condannato all'ergastolo in Italia, con sentenza definitiva, per quattro omicidi commessi alla fine degli anni '70.
Una decisione del genere, specie con le motivazioni di cui si vocifera in queste ore, non potrebbe che essere definita grave.
Date a Cesare quel che è di Cesare: una cella in Italia.

martedì 28 dicembre 2010

La Linea P.D.


Pochi giorni fa è stato siglato l'accordo che porterà la FIAT ad investire un miliardo di euro sullo stabilimento di Mirafiori per la produzione di 280mila vetture l'anno. L'intesa prevede, tra l'altro, un aumento del reddito   dei lavoratori, anche grazie agli straordinari, fino a 3700 euro annui a fronte di impegni precisi su produttività, assenze e modalità di sciopero.
L'accordo è stato firmato da tutte le sigle sindacali tranne, naturalmente, la Fiom, cioè il "braccio metalmeccanico" della CGIL. La grande novità è che, fermo restando lo Statuto dei Lavoratori, saranno solo le parti firmatarie a vigilare sull'applicazione dell'accordo stesso.
Vi è mai capitato di firmare un contratto? cosa direste a qualcuno che pretende di mettere bocca sulle sue modalità di applicazione pur non essendosi presentato dal notaio?

La Fiom però non ci sta e per bocca di Cremaschi esorta allo sciopero generale definendo l'accordo di Mirafiori nientemeno che "il più grave atto antidemocratico verso il mondo del lavoro dal 1925".
E' noto che chi milita nella CGIL deve, per obbligo statutario, evocare lo spettro del ritorno al fascismo almeno cinque giorni a settimana, quindi non c'è granché da stupirsi, ma come ha reagito all'accordo  la sinistra italiana che con la CGIL divide spesso e volentieri le piazze?

Vendola  va giù duro, chiede una risposta radicale ad un "restringimento secco degli spazi di democrazia in questo Paese". Di Pietro parla di "incostituzionalità", che è ormai diventato il suo modo normale di riferirsi a quello che non gli piace, si vocifera che abbia definito incostituzionale anche un piatto di tortellini mancante di sale durante il pranzo di Natale, suscitando imbarazzo e costernazione tra il personale delle cucine.

E il P.D.? Qui le cose si complicano: c'è chi, come Piero Fassino e Sergio Chiamparino si schiera per il "si" all'accordo, ma c'è anche chi, come il responsabile economico Fassina, lo definisce "inaccettabile" e chi, come Sergio Cofferati, invita il partito a "non fare acrobazie per giustificare una brutta intesa".
A dare la linea, come al solito, ci pensa Bersani "L’iniziativa della Fiat è molto forte se porterà, come spero, a sollecitare una riforma, che ci vuole, dei meccanismi di partecipazione e rappresentanza del mondo del lavoro, sarà un bene; se invece porterà a una disarticolazione dei rapporti sociali, allora sarà un fatto molto negativo".
In soldoni: Se l'accordo andrà bene sarà un bene, se andrà male sarà un male. 

Chi temeva sbandamenti può dormire sonni tranquilli, la barra resta dritta, la segreteria afferma ancora una volta con decisione la linea P.D. che, per chi non l'avesse ancora capito, vuol dire "Poi Decido".

lunedì 27 dicembre 2010

Robespietro


Presagi di tempesta nell'Italia dei Valori. Credeteci o no nel partito degli incorruttibili è scoppiata la questione morale. A dar fuoco alla polveri è stato De Magistris "la questione morale all'interno dell'Idv rimane ed è pesante come un macigno". Non si è fatta attendere la replica di Di Pietro attraverso il suo blog "Non è che chi critica ha sempre ragione. Ha volte chi critica è interessato a prendere lui stesso il posto di chi viene criticato". 
La svista sull'acca è di quelle che non fanno piacere, ma possono capitare, più seccante è che Flores D'Arcais, rappresentante di spicco del manettismo giornalistico, da sempre sponsor dell'ex pm di mani pulite, accusi Tonino di aver addirittura taroccato un sondaggio online proprio sulla questione morale nell'IdV.
E seccato Di Pietro deve esserlo davvero se poche ore fa, sempre nel suo blog, ha dedicato un intero post ai peccati capitali di Flores D'Arcais (per la cronaca: accidia, superbia ed invidia). 

Insomma ce n'è abbastanza per una gran brutta serata dalle parti di Manettopoli. Poi però si viene a sapere che il leader dell'IdV, a Matera, pochi giorni fa, è stato addirittura oggetto di un lancio di monetine da contrappasso craxiano, e allora forse parlare di brutte serate è riduttivo.
Il campione di mani pulite ha costruito la sua intera fortuna sui presunti scheletri dell'armadio dei suoi avversari: tutti corrotti o corruttori, tutti colpevoli, tutti dentro. 
Non a caso il giornalista di riferimento della sua area politica è quel Marco Travaglio per cui non esistono notizie, solo reati. Di Pietro avrebbe dovuto conoscere i rischi di chi si presenta come il più puro tra i puri, per dirla con Pietro Nenni "c'è sempre uno più puro che ti epura". E nell'IdV iniziano a muoversi quelli che vorrebbero epurare lui, anche se nessuno ancora lo dice apertamente.
Qualcuno si ricorda di Robespierre? avvocato, soprannominato "l'incorruttibile", campione per eccellenza del "terrore" post-rivoluzione francese. Finì ghigliottinato dagli stessi a cui aveva insegnato che bastava mezzo sospetto per far rotolare una testa. 
A volte, anche su questa terra, capita di essere misurati con lo stesso metro con cui si sono misurati gli altri.

domenica 26 dicembre 2010

Credibility Below Standard


Il sito web della democraticissima abc ci informa che in poco più di un mese l'autobiografia di George W. Bush, "Decision Points",  ha già venduto quasi 2 milioni di copie, le stesse totalizzate dalla biografia di Bill Clinton in sei anni.
Il ritorno sotto i riflettori del vecchio nemico "Dubya" potrebbe aver fornito a qualcuno alla CBS (dove, viste le recenti performance dei dems, l'atmosfera è piuttosto mesta) l'occasione per tirarsi su il morale con uno scherzetto degno dei bei tempi.
Durante uno special sulle copertine dei libri, andato in onda pochi giorni fa, quella di Decision Points è apparsa (00:16 nel video sotto) in una versione "riveduta e corretta": sotto al titolo, storpiato, compare la scritta "How I Managed to Go Eight Years Without Making One Good Decision" ("Come sono riuscito a non prendere nemmeno una decisione giusta in otto anni").



Solo un errore?

Intanto l'indice di popolarità di Bush è appena due punti sotto a quello di Obama e chissà che nel 2011 non ci sia il sorpasso.
Niente male per un ex presidente che, secondo certi media di casa nostra, praticamente non può uscire per strada senza occhiali e baffi finti.

Buoni propositi per il nuovo anno: Non fidarsi dei media italiani quando parlano di faccende americane (chi va di fretta, e non vuole rischiare di sbagliarsi, può limitarsi alla parte sottolineata).

venerdì 24 dicembre 2010

Dario dei Sogni


A volte ne parliamo male ma in fondo non potremmo stare senza di lui. E' Natale, bisogna essere sinceri, quindi diciamolo chiaro una volta per tutte: è il nostro preferito.
Lui, che nel giorno in cui l'Unione fallì clamorosamente il rigore a porta vuota delle elezioni 2006 si presentò in tv, ad urne appena chiuse, per dire all'Italia che la grande vittoria della sinistra, attesa per 5 anni, era finalmente arrivata.
Lui, che il giorno prima delle elezioni del 2008 (che il centrosinistra perse per appena 3 milioni e mezzo di voti) inviò un sms ai suoi compagni di partito incitandoli a darci dentro perché "siamo ad un'incollatura!".
Lui, che il giorno del voto della riforma Gelmini alla Camera dichiarò sollennemente che il governo non sarebbe durato abbastanza da farla approvare anche al Senato.

Lui, che poco più di un mese fa, affermava che Berlusconi avrebbe tolto il disturbo, e che entro l'anno ci sarebbe stato un nuovo governo di transizione.

Alla fine dell'anno manca ancora qualche giorno, ma noi abbandoniamo ogni prudenza scaramantica e usciamo allo scoperto in anticipo, per celebrare sulla fiducia l'ennesima prova di un artista dalla vena inesauribile: un artigiano della realtà immaginaria, un sognatore.

Lunga vita a Dario Franceschini: l'uomo che non ne azzecca mai una, ma non per questo smette di provarci. Visti i risultati c'è da augurarsi che continui a provarci ancora per molto, molto tempo.

giovedì 23 dicembre 2010

Entriamo nel Merito



Da stasera la Riforma dell'Università è legge. Per la prima volta vengono introdotti criteri meritocratici per l'assegnazione dei fondi agli atenei.
Il Corriere della Sera pubblica una scheda con la sintesi dei cambiamenti più importanti. Un cesto di arance in premio a chi trova la parte che cancella il diritto allo studio.
Sul fronte parlamentare si conferma l'annunciato squagliamento del terzo polo: FLI ha votato a favore, UdC e ApI si sono astenuti (che al Senato equivale a votare contro).
"Parleremo con una voce solaavevano detto solo pochi giorni fa. Evidentemente avevano in mente una voce stereo.

Eccessi di Fiducia


Chi si affannava a ripetere, ad ogni microfono che gli passava sotto al naso,  che il voto di fiducia di martedi scorso non aveva cambiato niente, si sta accorgendo giorno dopo giorno di quanto si sbagliava.
Sono passati appena nove giorni, ma sembra un’altra era politica: la fase nuova è scomparsa, la discontinuità ha fatto perdere le tracce, il passo indietro ci si ricorda a malapena cosa fosse, il governo tecnico è andato in crisi e in aula la maggioranza non va più sotto una volta al giorno.
Il dibattito politico è trasformato: prezzemolo Bocchino ha smesso di “speziare” le agenzie, il sergente Granata ha messo la sicura, insomma per farla breve: è scoppiata la pace.

Naturalmente in così poco tempo nessuno ha modificato di una virgola obiettivi e ambizioni: Fini e i suoi luogotenenti vogliono sempre fare le scarpe a Berlusconi; Casini ha in mente la stessa cosa e se l’impresa richiederà la “caduta sul campo” del leader di FLI se ne dispiacerà pochissimo. 

Ad essere cambiato è lo scenario: quello che i vari Bersani e Franceschini non vogliono capire è che, dopo la doppia fiducia del 14 dicembre, il governo Berlusconi è l’unica alternativa alle elezioni. E dato che le elezioni a parole non le teme nessuno, ma nei fatti tutti le vogliono evitare, provare a buttare giù l’esecutivo in carica non è più uno sport così popolare a Montecitorio e dintorni.
Ecco quindi le parole di Napolitano sulla legislatura che deve continuare. Ecco Fini che, impegnato in precipitosissima retromarcia, abbassa il finestrino per dire "basta alle contrapposizioni con il premier" ,ed ecco Casini, in versione “deponiamo le armi”, che assicura di non voler creare problemi a Berlusconi.

Addirittura ieri, dopo l’incidente di percorso che ha portato all’apertura del caso Prestigiacomo, il più infastidito sembrava CesaIl voto in Aula ha messo in luce la responsabilità della nostra opposizione e la totale confusione del governo. La maggioranza si chiarisca le idee, perché così non si può più andare avanti”.
Tradotto: Noi vi sminiamo il terreno ma voi non fatevi male da soli. E il pericolo è proprio questo: la sottovalutazione del rischio, tipico effetto collaterale dell’eccesso di fiducia.

L’episodio di ieri alla Camera è un esempio di quello che non deve succedere. “Solo un equivocoè stato detto, ma sono inciampi che possono costare cari.
E cosa dire dello scivolone evitato per un pelo al Senato sulla Riforma dell’Università? C’è mancato poco che per una leggerezza il testo dovesse farsi un'altra vasca completa alla Camera e, con il clima che c’è nelle piazze, davvero non se ne sentiva il bisogno.

L’eccesso di fiducia è un nemico che colpisce quando meno te l’aspetti e può portarti a prendere le decisioni più autolesioniste. Non è un caso che la deflagrazione che ha mandato in pezzi  l’unità del centrodestra, e ha diviso le strade di uomini che hanno condiviso un percorso di 16 anni, sia avvenuta nel momento in cui l’area di centrodestra gode nel paese del masSimo storico dei consensi.
Pensateci: se prendete le forze che, aggregate nell’Unione, alle elezioni del 2006 ebbero poco meno del 50% dei voti (e prima del rush elettorale di Berlusconi i numeri erano ancora più rotondi)  e le mettete insieme oggi ottenete poco più del 40% dei consensi.
La sinistra è in pieno stato catatonico. Il suo partito di maggioranza non riesce più nemmeno a vincere le sue primarie, è un avversario talmente evanescente che non fa paura a nessuno, e la storia insegna che il tempo delle rese dei conti in casa spesso arriva proprio quando fuori il nemico appare più inoffensivo.

Berlusconi si trova in una situazione di vantaggio che va ben al di là della precaria prevalenza numerica della sua maggioranza, ma si tratta di un vantaggio congiunturale, che va consolidato subito e per farlo serve un’azione incisiva e, soprattutto, attenta, che i problemi li risolva, non li crei. Tanto più il governo apparirà concentrato su problemi concreti come federalismo, fisco e sviluppo e non impegnato in polemiche su se stesso a loop infinito,  tanto più il clima e i sondaggi consiglieranno tutti a starsene buoni e tranquilli.
Su questo bisogna puntare se si vuole proseguire la legislatura, non certo sul senso di responsabilità dei centristi, perché l’effetto 14 dicembre non durerà per sempre.

mercoledì 22 dicembre 2010

Sfruttamento della Costituzione



Se porra' la Sua firma alla legge Gelmini Lei sancirà la cancellazione del Diritto allo Studio, uno dei diritti fondamentali della Costituzione” con queste parole gli studenti del collettivo “Sapienza in Mobilitazione” si sono rivolti al Presidente della Repubblica.
In Italia ormai siamo vaccinati: quotidianamente ci muoviamo tra proposte incostituzionali, riforme incostituzionali, governi e perfino parlamenti incostituzionali. Insomma, quello che non piace viola automaticamente la Costituzione, dovremmo averci fatto il callo, però questa della cancellazione del diritto allo studio è una panzana talmente colossale che si fa notare.

Diritto allo studio vuol dire, citando la Costituzione (art.34), che la scuola è aperta a tutti, che quella dell’obbligo è gratuita e che i capaci e meritevoli devono poter completare il loro percorso di istruzione, anche se privi di mezzi.

Esattamente quale di questi principi verrà cancellato dalla riforma non è chiaro, ma in fondo che importanza ha? Quando si fa una sparata del genere l’importante non è che sia vera, ma che ci sia qualcuno disposto a crederci. E qualcuno ci crede sempre.

L’Università italiana non funziona, ma non c’entrano niente né la Gelmini né la sua riforma che, se tutto va bene, andrà in vigore dall’anno prossimo. L’Università da noi va a rotoli da molto prima che Berlusconi e il suo governo iniziassero ad interessarsene, ma è praticamente irriformabile: puntualmente ogni progetto di riforma viene bocciato con sdegno dai soliti noti per i quali c'è sempre bisogno di “ben altro” e, ovviamente, di “più soldi”.

Senza investimenti non si va da nessuna parte, ma i soldi non sono tutto. I sistemi scolastici di Stati Uniti e Gran Bretagna, che fanno brillare gli occhi degli intervistati “sorteggiati” di Ballarò, sono certamente più efficienti di quello italiano, ma nell'ultimo decennio hanno visto peggiorare i loro risultati malgrado l'aumento dei fondi investiti dell’ordine del 3-5% all’anno.
il successo di un programma, di un progetto o di un ateneo si valuta dai risultati che raggiunge, non dai soldi che costa. Non è aprendo i cordoni della borsa indistintamente a tutti che ci si garantisce un sistema di qualità.

Con la riforma Gelmini per la prima volta al costo storico si sostituisce il costo standard per studente, il che vuol dire che certi atenei non potranno più pretendere più soldi di altri semplicemente perché “ce li avete sempre dati”.
Una parte (fino al 10%) del finanziamento alle Università verrà distribuita in base a risultati misurabili: ricerca e didattica. Vuol dire che chi è stato bravo si ritroverà con più soldi da spendere, chi è stato meno bravo dovrà mettere in soffitta qualche corso di laurea esotico oppure spiegare perché ha il bilancio in rosso. Cosa buona e giusta.
E, a proposito di diritto allo studio, la riforma istituisce il fondo per il merito che assegna borse di studio (che si aggiungono a quelle attuali) solo in base al merito e dà la possibilità agli studenti meno abbienti di frequentare l’università grazie ad un prestito da restituire dopo la laurea "secondo tempi parametrati al reddito percepito", come avviene in tanti paesi dove le cose funzionano molto meglio che da noi.

Tutte belle cose, ma, a sentire chi si arrampica sui tetti, con i tagli selvaggi che si prospettano resteranno solo delle scatole vuote. A prescindere dal fatto che il finanziamento annuale non c’entra nulla con la riforma, ma dipende dal Ministero dell’Economia,  i numeri dicono che Il finanziamento dell’Università previsto per il 2011 è di 6.9 miliardi. Nel 2007, con la cultura al potere, era di 7 miliardi. Taglio selvaggio cercasi.

Insomma, questa della cancellazione del diritto costituzionale allo studio merita di essere inserita tra le grandi teorie catastrofiste destinate, per fortuna, a non avverarsi mai.
Breve promemoria delle scadenze catastrofiche più imminenti:
2011 - Cancellazione del diritto allo studio in Italia. 2012 - Fine del mondo secondo la nota profezia Maya.
Ci ritroviamo qui nel 2013, quando non sarà successo niente di tutto questo e qualcuno dovrà inventarsi una teoria strampalata nuova per finire sui giornali. E ancora una volta ci sarà chi ci crederà, questa è la vera catastrofe.

martedì 21 dicembre 2010

Fatti Fuori



Il fatto: Una settimana fa a Roma, in mezzo ai tanti atti di violenza e teppismo che hanno caratterizzato le proteste che dovevano sfiduciare il governo dal basso, un ragazzo di 15 anni è stato colpito alla testa da un altro manifestante. Gli ci vorrà qualche settimana per rimettersi e secondo i medici che lo hanno in cura è stato fortunato perché “una botta simile, ricevuta a freddo e senza che se la aspettasse, poteva costargli la vita”.

Domani il Senato vota la riforma Gelmini e nella capitale si replica: stessa piazza stessa onda. Maurizio Gasparri ha invitato i genitori a tenere i ragazzi a casa perché, visto quello che è successo la settimana scorsa, tra i manifestanti potrebbero esserci potenziali assassini.
Nemmeno il tempo di finire la frase e Di Pietro gli risponde dandogli del fascista e già che c’è aggiunge che l’unico potenziale assassino (della democrazia) è proprio Gasparri.
Agitando lo spettro dei mostri si finisce con il provocarne la nascita. Il senatore Gasparri si vergogni! È di personaggi come lui che il Paese dovrebbe avere paura” gli fa eco Orlando.

Ora, il concetto di assassino della democrazia è di difficile definizione, quindi rinuncio immediatamente a provare a stabilire se si adatti o meno a Gasparri.
Cos’è un assassino nel senso letterale del termine è più facile da accertare, basta un dizionario. Definizione di assassino: Chi si è reso colpevole di un assassinio.
Cos’è allora un potenziale assassino? chi ci ha provato e potrebbe riprovarci.

Domanda: chi, volontariamente, rischia di causare la morte di un’altra persona cos’è se non un potenziale assassino?
Quella di Gasparri non è né un’affermazione forte, né una provocazione, è la banale constatazione di un fatto e in qualunque paese normale sarebbe stata trattata come tale.
Non è il caso dell’Italia, dove uno degli sport maggiormente praticati è scandalizzarsi per l’ovvio e descrivere le cose per quelle che sono, senza ingigantirle o minimizzarle per esigenze di bottega, vuol dire sparire dai testi delle agenzie.

Lo scandalo suscitato dalle parole di Gasparri è lo specchio di un paese in cui abbiamo disimparato a chiamare le cose con il loro nome, in cui abbiamo smesso di occuparci dei fatti e ci esercitiamo  giorno e notte a fabbricare teoremi, teorie. D’altronde a stare ai fatti sono capaci tutti, mentre per scrivere un bel racconto “liberamente tratto da”, con protagonisti romanzati, serve come minimo una bella penna.
Alle teorie si può far dire quello che si vuole mentre i fatti hanno una voce propria che spesso è difficile da addomesticare.
Nei teoremi mediatici l’unico limite è il cielo e la dimostrazione notoriamente non è richiesta, quindi vai con la teoria dell’agente infiltrato messo lì per causare scontri ad arte, o del berluscones che istiga alla violenza semplicemente perché la chiama con il suo nome. Sull’identikit del responsabile della nefandezza del giorno finisce puntualmente la faccia del “nemico”. E se la nefandezza non c’è si inventa, l’importante è che sia fotogenica.

Ma quando poi vedi con i tuoi occhi (in questo caso in un video) un oscuro manifestante come tanti che stende un altro illustre sconosciuto, colpendolo violentemente alla testa con un oggetto pesante come un casco integrale, improvvisamente ti viene il braccino corto, chiamarlo “potenziale assassino” pare brutto, specie quando scopri che non è un fascistoide, ma un movimentista di sinistra. “Ragazzo col Casco” fa più titolo di film e non offende il “movimento”.

E, ovviamente, chi non è d’accordo è un fascista, ça va sans dire.

lunedì 20 dicembre 2010

Pericolo Ghiaccio Sottile



«Il terzo polo non è mai nato, è un progetto piuttosto evanescente, una sommatoria di forze politiche che possono diventare elemento di disturbo in caso di competizione elettorale. Ma per il resto non c'è una leadership, non c'è un programma» Non sono le parole di una  “capra” berlusconiana qualsiasi, ma della più “fina” tra le lame finiane: Alessandro Campi, direttore scientifico di FareFuturo.

Per una volta a Campi bisogna dar ragione: se per qualcuno il PdL è Forza Italia col trucco rifatto, non si può negare che il neonato Polo della Nazione, al di là del nome che dà un contentino alla cultura storica della destra, non è altro che un UdC  allargato. La linea del nuovo soggetto politico fin qui è la copia carbone di quella tenuta dal partito di Casini dal 2008 a oggi e non stupisce che sia proprio il leader centrista ad apparirne il leader naturale, mentre chi è sempre stato di destra sembra destinato alla solita corrente interna. Magari qualcuno inizia a chiedersi se non era meglio fare la minoranza nel centrodestra piuttosto che morire democristiani.

E se la posizione centrista del nuovo polo fa venire il mal di pancia a chi è cresciuto all’ombra di Almirante, le prossime elezioni comunali potrebbero portare altre brutte sorprese: Casini, pur rivendicando la sua autonomia dai due poli, non ha mai rinunciato ad appoggiare candidati di destra o di sinistra, a seconda delle circostanze, nelle tornate amministrative. Un modo per non restare senza poltrone e per cercare di spaccare il bipolarismo.
A primavera si vota per eleggere i sindaci di molte città importanti e tra queste c’è Torino.
L’UdC in Piemonte ha sostenuto i candidati del PD sia alle provinciali del 2009, sia alle Regionali del 2010, con il risultato che i centristi governano con il centrosinistra (IdV inclusa) la Provincia di Torino e sono all’opposizione, in identica compagnia, in Regione.

Dando per scontato che Casini in Piemonte di alleanze con la Lega non ne farà, le alternative sono due: condannarsi all’irrilevanza, standosene tutti soli al centro, oppure appoggiare la candidatura Fassino insieme a Bersani, Di Pietro e Vendola. Niente male per chi, solo pochi mese fa, registrava il marchio del “vero centrodestra”.
Ma non è solo un problema di mal di pancia: che credibilità può avere un partito che sta con una coalizione in Regione ed in Provincia e con l’altra coalizione nel Comune capoluogo?

Non a caso qualcuno ha già iniziato a mettere le mani avanti: «Non è certo un terzo polo nato per fare la politica dei due forni, ma un’area di centrodestra che non si riconosce nella ricetta berlusconiana della guerra continua» precisa Menia. Chissà se qualcuno ha mandato un biglietto a  Casini e Rutelli per informarli che il loro è un polo di centrodestra…
FLI inizia a pagare dazio per la sua linea ondivaga anche nei sondaggi: ISPOEuromediaCOESIS lo danno poco sopra al 4% e sono in tanti ad avere l’impressione che la nave, così com’è, non vada da nessuna parte. A suonare l’allarme per primi sono proprio quegli intellettuali che in questi mesi hanno portato alta la bandiera dell’indipendenza dal berlusconismo  “Cosa resta del presidenzialismo, del bipolarismo, della laicità? Sicuri che il gioco all’interno del Palazzo, e dei suoi codici, alla fine paghi davvero? [….] tra le nostre file c’è molta confusione, mancanza di coordinamento e controllo” ammette Sofia Ventura, che chiede apertamente a Fini di rinunciare alla presidenza della Camera per non lasciare il partito senza guida.
Non andavano chieste le dimissioni di Berlusconi. E poi ci sono stati altri errori: l'oscillare tra troppe ipotesi diverse che hanno disorientato l'opinione pubblica. Un conto è voler costruire un centrodestra diverso da Berlusconi, un conto dichiararsi disponibili ad alleanze pure con Vendola oppure ad un governo tecnico o ancora farsi parte promotori del Terzo polodice ancora Campi, consapevole del fatto che lo strappo traumatico di novembre ha spinto FLI fuori dai confini del centrodestra e non si capisce bene come sia possibile ora rientrarci.

Fini ricorda tanto quei giocatori che, dopo aver perso una mano, si ostinano a raddoppiare la posta sperando di rifarsi e continuano a perdere fino a rimetterci anche le mutande. Ha esasperato a tal punto la rottura con il PdL che ormai non può più tornare sui suoi passi senza perdere la faccia, ma se continua su questa strada l'inerzia rischia di spingerlo verso sinistri abbracci.
Per Fini non è facile spiegare a chi lo ha seguito la logica di una forza che si dice bipolarista e al tempo stesso  decide di fondare un terzo polo, o giustificare il fatto che un partito che vuole incarnare la destra europea sia oggetto delle quotidiane proposte di fidanzamento da parte di personaggi come Bersani e Franceschini.

A completare il quadro sono arrivate ieri le parole con cui la “futurista” Moroni  si è rivolta a Casini “Se dovessimo copiare l'agenda del Vaticano e farla nostra il Polo della Nazione sarebbe morto prima ancora di nascere”, scatenando la reazione stizzita dell’UdC Volontè.
Senza nemmeno bisogno di iniziare a parlare di università e federalismo per il Polo della Nazione anche in parlamento le cose non si mettono bene.

Questi sono davvero dei polisti per caso: gente che per fermare l’emorragia di deputati verso l’area Berlusconiana si è messa insieme dalla sera alla mattina vagheggiando di un progetto comune che non è mai esistito.
Insomma nei laghi affollati del terzo polo fa un gran freddo, ma, tra spifferi, sbuffi e correnti.....d’aria, il ghiaccio è sempre più sottile ed è solo questione di tempo prima che qualcuno finisca a mollo, a meno di non lasciare il peso delle idee a casa. Come dice il cartello della foto: se siete abbastanza leggeri ve la potete cavare.

domenica 19 dicembre 2010

Reaganomics Reloaded


Continua il braccio di ferro al congresso americano in attesa che venga completata la transizione con l’insediamento dei nuovi eletti di mid term.
Dopo l’accordo faticosamente raggiunto sulle tasse l’attenzione si è spostata sull’Omnibus Spending Bill che finanzia l’intero programma di spesa delle agenzie del governo federale.
Il provvedimento, quasi 2000 pagine per un ammontare complessivo di circa 1200 miliardi di dollari, è stato affossato al Senato dall’ostruzionismo dei Repubblicani. In attesa di un accordo il Presidente Obama ha firmato un documento, approvato a tempo di record dalle camere, che finanzia le spese governative fino al prossimo martedi.

Mitch McConnell, leader dei Repubblicani al Senato, è deciso a non approvare nessun aumento del  budget federale fino a febbraio, quando il GOP avrà preso il controllo della Camera.

“The voters don't want us to wait to cut spending and debt and fight the health care bill next October….they want us to do these things immediately”

“Gli elettori non vogliono che aspettiamo fino al prossimo ottobre prima di iniziare a tagliare la spesa e il debito e opporci al programma sanitario….vogliono che lo facciamo immediatamente”

John McCain è stato tra i più attivi nell’affondamento dell’Omnibus Bill e parla di una grande vittoria del popolo americano. E mentre il 20 Gennaio si avvicina c’è chi, in previsione dell’arrivo in massa del Tea Party al Congresso, prevede un revival delle politiche reaganiane all’insegna dello stato leggero e dei tagli alla spesa: l’unico genere di stimolo che, a differenza di quelli promossi da Obama negli ultimi 2 anni, in passato ha dimostrato di funzionare. Forse l’America ha ritrovato sé stessa.

Nel frattempo le intenzioni di voto danno il GOP ancora in testa sui Dems, ma secondo l'ultimo sondaggio Rasmussen  il vantaggio si è assottigliato a 6 punti (erano 12 un mese e mezzo fa), mentre per Gallup i giudizi positivi sul Congresso sono scesi a quota 13%: il minimo storico in oltre 30 anni di rilevazioni. Con questi numeri si chiude il ciclo della maggioranza democratica, tra un mese la Pelosi "libera" la Camera.

sabato 18 dicembre 2010

La Risposta



In politica la chiarezza è tutto: dove siamo, dove vogliamo andare e con chi.
Dopo la sconfitta sulla mozione di sfiducia, ieri Bersani ha fatto il punto e, dalle colonne di Repubblica, ha indicato la direzione:
“Tutti quelli che non vogliono cedere a questa deriva devono prendersi la responsabilità di essere non solo contro Berlusconi ma di andare oltre. Guardando in faccia quello che ci consegna il tramonto del berlusconismo, la crisi di sistema in cui ci ha precipitato. Costruendo da subito una risposta positiva. Per mettere in sicurezza la democrazia e dare una speranza di futuro ai giovani. Noi ci candidiamo a presentare una piattaforma per la riforma della Repubblica, per la crescita e il lavoro".

Alleanza con il Terzo Polo? Magari. Ma allora mollate Vendola e Di Pietro? No no.
E le primarie"Siamo pronti a mettere in discussione anche i nostri strumenti".

A sera si sente la necessità di precisare meglio la linea del partito e la capogruppo del PD al Senato, Anna Finocchiaro, scende autorevolmente in campo materializzandosi al Tg5 delle 20:00 per dire:

"Pensa Bersani ad una proposta che appunto vada oltre le singole formazioni politiche e riesca a riconnettere la politica e la progettualità per il futuro a quello che il paese nelle sue diverse componenti…… può prendere in considerazione e può valutare positivamente".

Chiaro conciso e ben esposto. Un perfetto distillato dello stile asciutto ed essenziale che portò alla stesura del programma del centrosinistra del 2006: 286 pagine per non dire niente.

Ma sbaglia chi sostiene che il PD non dà risposte chiare ed è senza strategia. Il PD la risposta ce l’ha e la sua strategia è talmente chiara e ben definita che può riassumersi in tre sole parole: “Forse, poi vediamo”.
Fanno bene a dire di non temere la campagna elettorale, lo slogan ce l'hanno già.

venerdì 17 dicembre 2010

Abuso di "Studente"



Il titolo di questo post indurrà molti in errore: ecco un altro che ci viene a raccontare la storia dei poveri studenti manganellati ed ignobilmente repressi dalle forze dell’ordine mentre manifestano per i proprio diritti.
No no, tranquilli, certe tiritere le lasciamo a quelli che svernano sui tetti. Qui non si parla di abuso su questo o quello studente, ma di abuso di “studente”, nel senso del termine, della parola, nel linguaggio parlato e scritto, in particolare quando si raccontano certe manifestazioni che così frequentemente balzano agli onori della cronaca negli ultimi tempi.
Tra le più recenti si segnalano quelle contro la riforma Gelmini e l’ultima, fresca fresca, di appena tre giorni fa, che si proponeva di “sfiduciare il governo dal basso”.
Nel corso di queste manifestazioni traboccanti di cultura e d'amor patrio abbiamo visto ameni spettacoli come una tentata irruzione al Senato durante i cortei di fine novembre, e atti assortiti di teppismo urbano durante le proteste del B-Day: auto date alle fiamme, lancio di oggetti contro le forze dell’ordine e anche qualche bomba molotov, tanto per non farsi mancare niente, con il risultato di 97 feriti e 20 milioni di euro di danni.

I protagonisti di questi fulgidi esempi di impegno civile sono per gli organi di informazione “gli studenti”: gli studenti manifestano, gli studenti protestano, gli studenti occupano i binari, gli studenti assaltano il Senato.
Per cominciare non sarebbe male ricordarsi che la popolazione studentesca italiana (limitandosi solo a quella universitaria) conta quasi 2 milioni di unità, quindi quelli che si rendono protagonisti delle manifestazioni (anche di quelle perfettamente rispettabili in cui non si lanciano sanpietrini) sono una microscopica minoranza,  per quanto rumorosa e sempre a favore di camera. Bisognerebbe casomai parlare di “alcuni studenti”, tanto per chiarire il fatto che non hanno nessun titolo per rappresentare l’intera categoria.
Ma poi mi chiedo: perché in questi casi bisogna parlare di studenti? Quando si raccontano degli atti di teppismo e vandalismo la lingua italiana ci mette a disposizione due termini semplici e chiari per definire i responsabili: “teppisti” e “vandali”. Che poi i soggetti in questione la mattina si alzino dal letto per andare all’università, piuttosto che per fare i panettieri o gli idraulici è secondario. A meno di non voler intendere la parola “studente” come un sinonimo di “teppista under 30”.

Non è una questione che esaurisce le sue conseguenze nell’ambito lessicale perché introduce un tono di implicita giustificazione per i comportamenti di questi personaggi. Un teppista è qualcuno che infrange la legge, ma se lo chiami “studente” al maSsimo è un soggetto che fa ragazzate, magari è troppo vivace, indisciplinato, ma pur sempre  uno dei “nostri ragazzi”: non farebbe male a una mosca e se ha messo le mani addosso a qualcuno è perché il sistema (cioè Berlusconi) l'ha esasperato oppure, ecco la parolina magica, è stato provocato.

E infatti pochi giorni fa, dopo che in centro a Roma di mosche contuse ce n’erano state un bel po’, la senatrice PD Finocchiaro, nel suo furore giustificazionista, non ha trovato di meglio che  parlare di infiltrati: i responsabili degli scontri non erano certo i manifestanti, che il cielo ce li conservi, ma misteriosi soggetti mandati e pagati non si sa bene da chi e con il compito di causare non si sa bene cosa. A dare il là era stata la consueta teoria complottista su ipotetici agenti provocatori targata L’Espresso/Repubblica, subito proliferata in rete come una verità rivelata, che non è nemmeno il caso di analizzare visto che i fatti si sono incaricati di farla emergere per quella che era: una bufala.

E se Saviano, comprensibilmente in crisi di astinenza da riflettori dopo quattro prime serate RAI, da perfetto campione della legalità scrive una lettera agli studenti parlando di “camionette lasciate da poliziotti come esca”, il deputato PD Enrico Gasbarra, per salvare la pax natalizia ed evitare altre distruzioni nel centro di Roma, propone di regalare agli “studenti” uno spazio libero di 10 minuti in prima serata RAI per spostare la protesta dalle piazze ai TG. Insomma: se usi la mazza e incendi le macchine non solo non è colpa tua, ma ti regaliamo anche la ribalta mediatica. Te la sei guadagnata e per favore, ma solo se non ti è troppo disturbo, non farlo più.

Dopo i “compagni che sbagliano” sono in arrivo, fatte ovviamente le dovute proporzioni, gli “studenti che eccedono”, formule di condanna blande che più blande non si può di un mondo intellettual-progressista che a questi fenomeni si sente culturalmente affine e limita la sua critica alla mera forma, mai alla sostanza :“magari hanno esagerato nei modi, ma hanno ragione”.

Tempo fa un tale, lamentando la sostanziale impunità della categoria dei tifosi, suggerì a chiunque volesse compiere un qualunque reato e passarla più o meno liscia di farlo allo stadio. Oggi la teoria si può aggiornare: se vuoi fare il teppista, dar fuoco a qualche macchina della polizia e menare un po’ le mani, fallo nelle manifestazioni degli “studenti” e tempo 48 ore potrai startene tranquillo a casa a parlarne su facebook, mentre mamma prepara la cena.

Esagero? Tre giorni fa, dopo che il centro della capitale era stato messo a ferro e fuoco, sono stati arrestati 23 “studenti”. Decisione di ieri del Tribunale di Roma: uno è agli arresti domiciliari, gli altri tutti liberi. Amen. Andate in pace. E mazze pronte per la prossima ricreazione. Tra pochi giorni riparte l’iter della riforma Gelmini al Senato. Auguri.

giovedì 16 dicembre 2010

Polisti per Caso


Ieri è ufficialmente nato il “Terzo Polo” che si propone di tenere insieme in un grande abbraccio glaciale tutti i pezzi e pezzettini originati dallo  scioglimento degli altri due.
Siamo più di cento parlamentari ma parleremo con una voce sola” assicura Casini.
Fa piacere saperlo e non c’è motivo di dubitarne. Sulla strategia parlamentare c’è evidente identità di vedute tra chi assicura  “opposizione responsabile” e chi invece promette di rendere la “vita impossibile” a Berlusconi, insomma siamo lì.
Sulla riforma dell’Università, che riprende a breve il suo iter al Senato, i terzopolisti sono tranquilli,  non possono sbagliare: alla Camera si sono giocati la classica tripla “1 X 2”: FLI ha votato a favore, l’API si è astenuto e l’UdC ha votato contro. Qualcuno ci ha preso per forza.
Discorsi più o meno simili sul federalismo fiscale o su sciocchezze di poca importanza come il  pacchetto stabilità-sviluppo (che per fortuna è approvato, quindi non ci sarà bisogno di tornarci sopra) e vogliamo parlare di temi "etici"? meglio di no.
Insomma marciare divisi, colpire in ordine sparso, ma poi a cena tutti insieme. Più che un polo sembra un gruppo di persone che ieri si sono trovate per caso nello stesso albergo.
Cosa tiene davvero insieme questi polisti per caso? Un’idea ce la dà direttamente uno degli interessati in un discorso tratto dalla sua vita precedente.
Il Terzo Polo da oggi è realtà. Quanto ci  metteranno i primi iceberg  a staccarsi e ad andare alla deriva? C’è chi giura che per i pezzi piccoli non servirà nemmeno aspettare i primi caldi di primavera…

mercoledì 15 dicembre 2010

Senso Unico



Quella che è andata in scena ieri più che una seduta parlamentare è stata una corrida: tra dichiarazioni di voto al vetriolo, colpi di teatro dell’ultimo minuto, e scenate finali sul rinfaccio e sul tradimento con gran scambio finale di insulti, l'aula alla fine ha confermato la fiducia al governo.
A fine partita fare il gioco di chi ha vinto e di chi ha perso era fin troppo facile, sul senso del risultato si sono sentite invece opinioni diverse.

Ha perso Fini, imbarcatosi in un progetto politico velleitario e fallimentare che pretendeva di ridisegnare i confini del centrodestra senza ormai farne nemmeno più parte.
Il PdL gli ha fatto un regalo insperato con il documento di “incompatibilità” del 29 luglio. Non era un’espulsione, ma lui ci ha messo minuti cinque per iniziare a spacciarlo come tale, presentandosi dopo meno di 24 ore davanti ai giornalisti con il nome del nuovo soggetto politico già bello e confezionato.
Una mossa programmata da tempo, a cui però la maldestra presa di posizione del PdL ha consentito di vestirsi dei panni del martirio politico e della buona fede, un abito che ha convinto molte “colombe” ad accodarsi a quella che era stata spacciata come un’iniziativa per incidere sull’agenda del governo quando, fin dall’inizio, puntava semplicemente ad affondarlo.
Fini se l’è giocata bene fino a Bastia Umbra, poi si è mostrato per quello che è sempre stato: non un mediatore tra le diverse anime del partito, ma il falco in capo.
Aveva chiesto il riconoscimento politico di FLI, quando l’ha avuto ha chiesto il patto di legisaltura,  quando Berlusconi gliel'ha offerto non ha trovato di meglio che chiederne le dimissioni. Questa strategia si chiama “escalation”, ed è quella di chi ha già deciso dove vuole arrivare prima ancora di partire, pur dovendo fare la recita di arrivarci un passo alla volta.
E’ stato su questa escalation che Fini ha cominciato a perdere i primi pezzi. E forse altri ne prederà, dato che l’avventurismo del suo progetto politico, ormai estraneo al centrodestra, non può che risultare ogni giorno più chiaro a chi lo ha seguito in buona fede e si ritrova oggi mille miglia lontano da casa sua senza nemmeno sapere dov’è diretto.

Ha perso la sinistra: ormai PD e soci sono talmente abituati a perdere che alla vigilia di ogni appuntamento importante hanno imparato a minimizzarne le conseguenze: “vada come vada non cambia niente, Berlusconi è comunque al tramonto”. Un modo come un altro per mettersi da parte un argomento pronto per l’uso dopo la consueta sconfitta.
E infatti Bersani ieri si è attenuto il copione: “non cambia nulla, il premier non ce la fa”. Insomma non è successo niente compagni, abbiamo scherzato.
La conta della Camera loro non se la sono mai filata. Deve essere per questo che hanno fatto venire un deputato con problemi di salute dall'Australia e hanno trasformato Montecitorio nella succursale di un reparto maternità.
Adesso ci dicono che il premier non può governare con 3 o 4 voti di maggioranza. E’ vero e lo sapevamo già, ma certo è una predica che suona strana quando a farla è chi ha passato due anni a tentare di tenere in piedi un esecutivo organizzando le trasferte a Roma della Levi-Montalcini.

Ha vinto Berlusconi, ancora una volta.
L’opposizione lo accusa di essersi comprato la fiducia. In un paese civile un’ipotesi simile sul capo del governo si solleva solo avendo in mano prove schiaccianti, in Italia la si butta là alla “viva il parroco” per vedere l’effetto che fa. Tanto ormai ci siamo abituati a tutto, siamo desensibilizzati.
La strada per il premier resta stretta: è stato importante spaccare FLI, ma anche se qualche altra colomba dovesse tornare a casa sarebbe comunque improponibile pensare di governare con una maggioranza così risicata. Per cambiare lo scenario dovrebbe esserci un controesodo di quelli da week end di fine estate.
La via per non andare alle elezioni è l’allargamento della maggioranza e questo presuppone un accordo con personaggi di cui, l’ho già detto e lo ripeto, non ci si può fidare.
Ma trattare dopo aver ottenuto la doppia fiducia vuol dire farlo da una posizione di forza. Il risultato di ieri non garantisce la stabilità dell'esecutivo in carica, ma allontana le nebbie dei governi tecnici e istituzionali, tanto care a quei  terzopolisti che teorizzano l’idea obliqua di una politica in cui tanto meno sei stato votato, tanto più sei adatto a guidare un governo.

Adesso, almeno fino a quando le velleità dei ribaltonisti saranno inibite dagli echi della sconfitta di ieri, il governo Berlusconi è  l'unica alternativa alle elezioni e chiunque voglia lavorare per il proseguimento della legislatura deve fare i conti con questa realtà.
Nel fumo delle mille interpretazioni interessate che affollano il chiacchiericco politico questo è il senso unico del voto di ieri.
In uno scenario simile anche l’ipotesi di una crisi pilotata è più accettabile. Se Berlusconi si fosse dimesso 24 ore fa avrebbe ceduto ad un ricatto, se lo fa oggi, dopo aver messo al tappeto chi lo voleva buttar giù da cavallo, può pretendere patti chiari. Non più impotenza o debolezza, ma responsabilità e certezza del reincarico.
La via più sana restano comunque le elezioni. Sono un rischio, ma la storia dovrebbe aver insegnato al Cav che le vittorie più saporite sono spesso figlie di scelte rischiose, come quella di andare alla conta sulla fiducia che ieri gli ha regalato lo spettacolo di un Fini costretto a leggere alla nazione il bollettino della sua sconfitta. Deve essergli sembrato il miglior pezzo di “musica da Camera” sentito da anni.

Fin qui i vincitori e i vinti in aula, ma ieri i giocatori non erano tutti in campo, qualcuno si è goduto il match dalla tribuna, tra questi si segnala Nichi Vendola (che ormai viene avvistato ovunque tranne che nella regione che dovrebbe governare). A cose fatte ha commentato così:
"L'Italia è cambiata. Il centrosinistra deve raccogliere la voce che sta fuori dal palazzo, rabbiosa e pulita del cambiamento. La voce di un'Italia che vorrebbe un paese che si occupa degli interessi generali e non di quelli personali e privati delle cricche. L'Italia peggiore vive abbarbicata dentro al palazzo".
Ieri sera la voce dell’Italia pulita ha incendiato macchine, speccato vetrine, lanciato bombe carta,  causato 97 feriti e infiniti disagi a migliaia di cittadini per le strade di Roma. Le condanne del giorno dopo sono inutili quando quotidianamente si straparla, aizzando chi non aspetta altro che un pretesto per "passare ai fatti".

La sinistra con cui abbiamo a che fare è anche questa, chi ha sfasciato l’unità del centrodestra non se lo dimentichi mai.

martedì 14 dicembre 2010

Sfascista Sfasciato



Oggi la politica si è schiantata contro il muro del vicolo cieco in cui Fini, Bocchino e compagnia l'hanno lanciata a velocità folle negli ultimi 8 mesi. Ne usciamo tutti male: il paese ha un governo con una maggioranza risicata, gli scenari futuri sono incertissimi, politicamente ci sono ben pochi motivi per esultare, ma sono tutte cose che sapevamo anche ieri.
La novità di oggi è un'altra: è l'immagine di Fini che, in veste di Presidente della Camera, è costretto a certificare a reti unificate la sconfitta della sua campagna per l'abbattimento di Berlusconi e l'instaurazione di una dittatura delle minoranza nel controdestra. Da conservare nell'album dei ricordi.

Che Fini rientrasse nella categoria degli "incapaci di fare" lo pensavamo in molti, da oggi lo iscriviamo d'ufficio anche in quella degli incapaci di disfare. Quindi non chiametelo più disfattista, nei fatti lo sopravvalutate.

Da domani ricominciamo a pensare al futuro, che non è né roseo né facile. Oggi ci godiamo il momento. Ce lo meritiamo.

Quelli che Aspettano il Tramonto


Vada come vada è difficile pensare che questa legislatura possa avere uno sbocco diverso dalle elezioni anticipate in primavera.
I leader dell’opposizione ieri hanno avvertito Berlusconi “dove vai con uno o due voti di maggioranza?”. Verissimo, sempre ammesso che questi voti ci siano, e non è scontato.
Ma la domanda si può rovesciare: se la sfiducia passa dove vanno Bersani, Fini e Casini con uno o due voti di maggioranza in una camera sola? Poco lontano, specie considerando che si tratta di voti di forze politiche che riescono a sommarsi solo quando parlano di quello che non vogliono (cioè di Berlusconi a Palazzo Chigi. O, per alcuni di loro, in qualunque altro angolo del campo visuale).

Su un’altra cosa gli sfiducianti, da Rosy Bindi, a Veltroni, a Bersani, si fanno eco a vicenda: Con il voto di oggi tramonta il Berlusconismo.
Mi piacerebbe aver 1 euro per ogni volta che qualcuno ha sentenziato che Berlusconi era alla fine del suo ciclo politico. Il futuro non lo conosciamo, ma il passato si, e il passato ci dice che finora a tramontare sono stati i “tramontisti”.
Qualcuno potrebbe osservare che personaggi come la Bindi e Bersani già da anni sono crepuscolari anche la mattina presto, quindi, se tramontassero, la differenza sarebbe roba da “settimana enigmistica”, non la noterebbe nessuno. Ma chiunque sarebbe cupo e un po’ spossato al posto loro: una notte in bianco in attesa dell’alba lascia i suoi segni, figuriamoci 16 anni ad aspettare lo stesso tramonto. Una giornata molto lunga.

Chi sarà a tramontare stavolta? Vedremo.
Come al solito però i discorsi dei “democratici”  non fanno i conti con la democrazia: difficile parlare di tramonto di un leader quando, se ci fossero le elezioni la prossima primavera, sarebbe proprio lui l’unico a poterle vincere, mentre gli altri dovrebbero correre per un nulla di fatto al senato. Nessuno di questi signori ha ancora capito che per avviare davvero Berlusconi sul viale del tramonto bisogna batterlo alle elezioni, non basta un voto di sfiducia in parlamento. Questa è una “cura” che può essere sufficiente per togliersi di mezzo personaggi come Prodi, senza un partito né un popolo alle spalle, ma non certo a neutralizzare chi, appena pochi mesi fa, ha dimostrato di poter vincere le elezioni regionali da solo.

Che nemmeno i tramontisti credano nel tramonto del caimano lo dimostra il fatto che di elezioni anticipate non vogliono nemmeno sentir parlare, al punto che sarebbero disposti a varare un governo con “tutti dentro” pur di evitarle (un governo che farebbe impennare i consensi del PdL come nemmeno la miglior campagna elettorale degli ultimi 150 anni potrebbe fare).

Cosa fare allora? In fondo ha ragione chi dice che non è un voto in più che consente di governare, ma l’esito della conta in aula non è indifferente: chi esce sconfitto avrà maggiori difficoltà a gestire il “dopo”.
Un patto con FLI o UdC (che sarebbe l’unico modo per avere una maggioranza numericamente degna di questo nome) esporrebbe comunque  l’esecutivo ai quotidiani ricatti di Fini o di Casini che, non dimentichiamolo, oggi come oggi non mirano né alle riforme né alla cosiddetta “nuova agenda economica”, ma unicamente a mettere in naftalina l’uomo che da 15 anni li relega al ruolo di violini di spalla (anche se non è da sottovalutare la voglia matta dei due di fregarsi a vicenda, e questo potrebbe aprire degli scenari inattesi).

Quindi meglio evitare di riporre troppa fiducia in accordi che nasconderebbero quasi certamente delle trappole. Visti i numeri stretti in parlamento, e l’inaffidabilità degli eventuali compagni di viaggio,  di alternative vere alle elezioni se ne vedono poche. Non è detto che sia un male. In fondo è quella l’unica conta che…..conta.
Anche per dare ai nuovi tramontisti la possibilità di tramontare, che è poi da sempre quello che sanno fare meglio.