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mercoledì 9 marzo 2011

FloPD


Le persone si dividono in due categorie diceva un tale: quelle che dividono gli altri in categorie e quelle che non lo fanno. Senza voler per forza rientrare nella prima categoria non si può negare che a questo mondo ci sono persone che si portano dietro l’aura del vincente anche quando dormono e altre che il flop ce l’hanno stampato nel DNA.
Se parliamo della politica italiana il signore di tutte le sconfitte è certamente il Partito Democratico, e ne abbiamo avuta un’altra plastica dimostrazione ieri, nel giorno della festa della donna che per l’occasione si è rifatto il trucco è si è presentato in piazza con le fattezze dell’ennesima, mille volte già vista, sempre uguale a se stessa, giornata dell’odio “civile” contro Berlusconi.

Si annunciava roba grossa se la portavoce naturale delle piazziste anti-cav, la direttrice dell’Unità Concita De Gregorio, alla vigilia si sbilanciava citando una lettera ricevuta, alla vigilia della manifestazione del 13 febbraio, della vedova di un premio Nobel nella quale la signora diceva di sentire nel “Vento Nuovo” delle donne italiane il sapore delle  “parole e ai gesti compiuti insieme al marito, negli ultimi suoi anni, a proposito della forza delle piazze contro i regimi di ogni densità e tipo”.
Capito? Le donne anti cav saranno tante, unite, pronte a fare la storia, e ci salveranno tutti. Salveranno anche noi che, sprovveduti come siamo, non abbiamo nemmeno capito di dover essere salvati da qualcosa.

Il gran giorno era ieri: mimose e slogan alla conquista delle piazze d’Italia. Solo che le piazze sono rimaste vuote: meno di 50 persone a Milano (non si sa quante di loro donne)  più o meno simili anche a Napoli.
A Roma, la protesta è arrivata fin sotto Palazzo Grazioli, gli slogan di indubbio valore sociale  spaziavano dal “Poliziotto ma che ci stai a fare, a casa ci sono i piatti da lavare e i panni da stirare” (che fa tanto compagna Gisella di guareschiana memoria) al sempre verde “Non c'è un cazzo da ridere” (testuale) passando per un “Riprendiamoci le nostre vite” messo in mezzo così, tanto per darsi un tono.

Ma per fortuna il grado di riempimento delle piazze non è tutto, anzi, ieri c’erano ben altri numeri di cui parlare e ce lo ha ricordato Rosy Bindi presentandosi orgogliosa e fiera con al seguito le famose 10 milioni di firme che chiedono le dimissioni del premier. Firme democratiche, che non fanno discriminazioni tra quelle di esseri umani reali e viventi e quelle di personaggi storici deceduti nei secoli passati, o di altri mai esistiti se non nella fantasia di scrittori e fumettisti, e con la ciliegina sulla torta della firma convinta dello stesso Silvio Berlusconi.

Una farsa di quelle vere, conclamate, che classe dirigente di partito appena un po’ più accorta avrebbe evitato di cavalcare, nascondendola magari sotto il tappeto, tanto per risparmiarsi la brutta figura.
Lo stato maggiore del PD, con la Bindi in testa, invece era lì, a farsi fotografare con gli scatoloni di una raccolta firme che non vale nemmeno la carta su cui è stampata, a mettere la faccia sull’ennesimo fallimento pubblico.

Perdenti di successo si diceva una volta. No no, perdenti e basta.

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