ADNKronos Politica


giovedì 16 gennaio 2014

La Penisola che Non C'è


Parlare di politica italiana è come dissotterrare cadaveri: non trovi niente che si muova, e se si muove generalmente non è un buon segno.
Siamo affezionati ai nostri problemi, ne parliamo giorno e notte, e ci rattrista l’idea di risolverli. A cose fatte correremmo il rischio di sentirne la mancanza. Guai a chi ce li tocca.
Il vantaggio è che puoi scrivere un pezzo sui mali dell’Italia e riproporlo a distanza di  dieci o vent’anni senza che abbia perso di attualità: le location sono “eterne”, una risistemata ai nomi dei  personaggi e ai  modi di dire (perché se devi ripetere le stesse cose almeno cambia il gergo…) e il gioco è fatto.

Abbiamo appena chiuso un altro anno in recessione (PIL -1.8%), ma la notizia è che si vede la luce in fondo al tunnel: per il 2014 il meteo economico dà “ripresa”.
Finalmente. Strette di mano a favore di camera e diffuso senso di sollievo. Bravi tutti. Poi però spegni la TV e ti torna in mente che anche per il 2013 era stata prevista la ripresa.
20 Settembre 2012: Monti “L'anno prossimo sarà un anno in ripresa”.

Ci pensi ancora un po’ ti ricordi che anche per l’ormai lontano 2012 si alimentavano speranze di un riaffacciarsi del “segno +”.
Passera “100 miliardi per la crescita, speriamo in una ripresa nel 2012”. I 100 miliardi nessuno li ha visti, ma anche Draghi, dagli stanzoni della BCE, assicurava che l’Italia era “davvero sul sentiero giusto”.
Per la cronaca: nel mondo reale il 2012 si è concluso in Italia con un PIL in caduta libera: -2.4%.

La ripresa in Italia è immancabilmente prevista per il secondo semestre, possibilmente dell’anno successivo.
Anche se nel 2014 continuassimo ad andare giù a fine anno sarà passato abbastanza tempo perché nessuno si ricordi della previsione (tranne magari qualche blog di poco conto).

Ma al di là della speranza (che, come noto, non è una strategia) per quale motivo dovrebbe esserci una ripresa nel 2014? E perché avrebbe dovuto esserci nel 2012 e nel 2013?
Riferito all’attualità la risposta potrebbe essere che una volta toccato il fondo (abbiamo perso 8 punti di PIL dall’inizio della crisi e già prima non stavamo molto bene) non si può che risalire, o almeno rimbalzare. Ma l’esperienza comune insegna che in casi simili si può anche iniziare a scavare.
Qualcuno però di recente ha dato una risposta diversa. Lo spunto lo hanno fornito gli inattesi dati di fine anno della CGIA di Mestre che a sorpresa ci hanno informato che nel 2013 un certo tipo di contribuente, con un certo reddito e un certo nucleo familiare, ha pagato meno tasse rispetto all’anno precedente.
La notizie ha fatto incetta di titoli sui media e Premier e Vice del “Governo del Twittare” non hanno perso tempo a mettere l’inatteso pacchettino sotto l’albero dei “successi dell’esecutivo” (dove peraltro non hanno fatto fatica a trovare posto) lasciandosi andare ad un “L’Italia riparte” di prodiana memoria (qualcuno ricorderà che allora non fu esattamente un successone).

Peccato che una simulazioni che ci dice che alcune tipologie di contribuenti hanno pagato meno tasse non sia esattamente sinonimo di “riduzione della pressione fiscale”.
A confermarcelo ci ha pensato uno studio di Confcommercio che ha da poco certificato il nuovo record storico della nostra pressione fiscale ormai ad un soffio da quota 45%. E si tratta di un dato “apparente”, che tiene conto anche di chi lavora in nero e non versa un Euro nelle casse dello Stato. Il livello effettivo di tassazione per chi le tasse le paga raggiungela bella cifra del 54%, contro il 51% della Danimarca, il 47% della Svezia, il 42% della Norvegia, il 40% del Regno Unito e (tanto per farci del male) il 28% degli USA.
Tutto questo mentre la Banca Mondiale ci ricorda che siamo al 65° posto nella lista dei paesi dove conviene fare investimenti (dietro il Botswana e la Bielorussia) e ben oltre il 100° posto (e in discesa)se si parla di burocrazia e pressione fiscale.
Che motivi ragionevoli ci sono per aspettarsi che un paese con questi numeri torni seriamente a crescere? Per carità, un piccolo rimbalzo ci può stare, ma avete mai visto qualcuno che prova ad uscire da una buca rimbalzando sul fondo?

Se fossimo in uno dei tanti salotti televisivi permanenti a questo punto qualcuno si alzerebbe e darebbe la colpa alla Germania: è il risanamento bellezza, ce lo hanno imposto loro.
Ecco il nostro risanamento: dopo due governi di pubblica virtù e salvezza nazionale il debito pubblico si avvia sicuro e spedito verso quota 2100 miliardi di Euro, pari al 133% del PIL e per di più in crescita decisa (+3% nel secondo trimestre del 2013). Il nostro rapporto Debito/Pil è la sola cosa cresce (molto) più della media europea.
Come si spiega?
Non è difficile: prendiamo l’aumento dell’IVA, misura suicida per eccellenza in un paese con la domanda interna sotto la tendina a ossigeno: l’aliquota è stata portata da 21% al 22% con il dichiarato intento di fare cassa e ripianare il deficit. Risultato: nei primi 8 mesi del 2013 il gettito IVA è calato (non aumentato, calato) di quasi 4 miliardi di Euro con un ulteriore buco di bilancio per lo Stato oltre a quello che si cercava di riempire. A calare non è stato il deficit, sono stati i consumi.
La più grossa panzana che si sia sentita di recente nei TG è la filastrocca sul “quanto costerà in più l’aumento dell’IVA alla famiglia-tipo del balpaese”. Come se la famiglia-tipo di questi tempi avesse dei soldi in più da spendere. Non li ha, quindi semplicemente con gli stessi soldi acquisterà meno beni e servizi di quelli che acquistava prima.
E se poi con quegli stessi soldi deve pagare anche l’ultima tassa partorita del Consiglio dei Ministri tra Iuc, Tari, Tasi, etc. (quando avremo esaurito le sigle ricorreremo probabilmente ai nomi mitologici: la Zeus o la Eros ad esempio suonerebbero…da dio) stringerà ancora di più la cinghia e lo Stato, pur avendo aumentato le aliquote, incasserà meno soldi.
E andrà ancora peggio se, proprio per eccesso di tasse, uno o più componenti di quella famiglia perderanno il lavoro: la disoccupazione è al 12.7%, nel 2011 era all’8.4%, il che vuol che per ogni due disoccupati del 2011 oggi ce n’è uno in più. In altri paesi non si parlerebbe che di questo, ma noi continuiamo pure a baloccarci con lo spread.

Ecco in sintesi come è amministrata l’Italia:
Problema - conti in rosso a causa di una pubblica amministrazione che ingoia più soldi del buco nero al centro della Via Lattea.
Soluzione - di tagliare la spesa non se ne parla quindi per far quadrare (sulla carta) i conti alziamo le tasse. Questo fa calare i consumi, non c’è domanda e le imprese chiudono. Cala il numero degli occupati e quindi anche il numero dei soggetti che pagano le tasse, perciò, anche se chi paga paga di più, i conti continuano a non tornare e continuiamo ad avere lo stesso problema. Soluzione: alziamo ancora le tasse.  
Tornare all’inizio del periodo e ripetere in loop un numero a piacere di volte fino a completo esaurimento del settore privato.

Ecco perché il pareggio di bilancio annunciato con squilli di tromba per il 2013 è stato rimandato a data da destinarsi. Il rapporto Deficit/PIL al 3% vuol dire che, malgrado la fiera delle tasse, abbiamo mancato l’obiettivo di qualche decina di miliardi di Euro, un'inezia. Come dire che giocavamo a freccette e invece del centro del bersaglio abbiamo colpito il vetro della finestra…di una casa in un'altra città.
Questo a conferma del ben noto principio che tutta l’acqua del mondo non riempirà mai un singolo bicchiere, se a quel bicchiere è stato tolto il fondo.

Tagliare la spesa per alleggerire il carico fiscale è il solo modo per imboccare la strada della crescita. L’Italian Way invece è quello di inventarci tasse dai nomi sempre più esotici per alimentare quello stesso apparato burocratico pachidermico che fa quotidianamente la guerra agli investimenti e alle iniziative private. In sintesi: ci togliamo il pane di bocca per rendere sempre più grossa e pesante la palla di piombo che ci portiamo al piede e poi ci stupiamo che muoversi diventi sempre più difficile.

Questo è il quadro dell’Italia di inizio 2014 al di là delle twittate (che nessuno è ancora riuscito a trasformare in qualcosa da tagliare con forchetta e coltello). I commenti alla “ce l’abbiamo fatta” sentiti di recente sono la miglior riprova che chi amministra questo paese, al di là dell’opportunismo,  semplicemente non sa di cosa parla. Leggere tendenze generali in un singolo dato frutto di una simulazione è come fare stime sulla qualità della vita di una città consultando il meteo online.

E comunque se ti affidi unicamente al meteo online, anche solo per sapere se in una certa città fa caldo o freddo, vuol dire che in quella città non ci vivi. Vivi da un’altra parte. In una Penisola che non c’è.

Se vuoi essere aggiornato sull'attività del blog seguilo su facebook  http://www.facebook.com/whitecity12

2 commenti:

  1. Anime sospese
    le ho viste aggirarsi in tutte le stazioni
    in cerca della loro identità perduta
    vita vissuta ai margini della dignità
    imposta da una società malata
    Priva di amore verso i più umili
    che stanchi di lottare si sono arresi
    assistendo impassibili alla vita che non gli appartiene più
    Vita ricercata nella folla frettolosa
    schiava del tempo che passa veloce
    come fossero automi taluni offrono una moneta
    tenendo in vita queste anime sospese
    condannate ha fare da specchio a tutta l’umanità. Vittorio
    PS il mondo di domani??? un Grazie a tutti i Politici e le lobby che rappresentano.

    RispondiElimina
  2. Se questo paese avesse un domani qualcuno avrebbe già pensato a tassarlo.

    RispondiElimina