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lunedì 12 novembre 2012

Sconfitta in Cinque Mosse



Com'era prevedibile la rielezione di Obama ha scatenato la caccia al colpevole nel GOP, con Romney a fare da parafulmine. Troppo moderato per alcuni, troppo conservatore per altri. Ognuno ha letto nei numeri dell’election night quello che voleva leggerci. E neanche questa è una sorpresa.

In alcuni stati ci vorranno ancora dei giorni prima di avere un conteggio definitivo dei voti, ma il quadro generale permette già di fare le prime considerazioni sui numeri:
Quello di Obama non è stato un “trionfo di popolo”: rispetto al 2008 ha perso oltre 7 milioni di voti (7.5 al momento di scrivere, ma è un dato destinato a calare nei prossimo giorni) pari all’11% del suo totale del 2008. Vuol dire che più di un elettore su dieci tra quelli che quattro anni fa lo avevano votato nel frattempo ha cambiato idea.
Obama è il primo Presidente ad essere stato rieletto con una percentuale inferiore a quella del primo mandato. E quando il conteggio sarà terminato avrà superato a fatica i 62 milioni di consensi della rielezione 2004 del vituperato George W.Bush, con la differenza che nel frattempo la popolazione USA è cresciuta di oltre 15 milioni di unità.

Non è un calo da poco. L’avessero detto ai repubblicani due settimane prima del 6 novembre sarebbe stato tutto uno stappare di bottiglie.
Ma avrebbero fatto male a brindare, perché contrariamente alle previsioni anche il GOP ha visto calare i suoi numeri rispetto a quelli del 2008. Al momento il totale nazionale di  Romney è di ben 1.3 milioni di voti (-2.1%) inferiore a quello ottenuto quattro anni fa da McCain al termine di una campagna che portò stampato in fronte il timbro della sconfitta almeno da metà settembre.
Senza sconfinare nel “balming game” questi sono alcuni dei perché:

1 - Il bagno di sangue delle primarie
Mai come quest’anno le primarie repubblicane hanno fatto il gioco dell’avversario. Romney, per vincerle, ha dovuto spingersi molto a destra su temi come ad esempio l’immigrazione, utilizzando espressioni come “self deportation” che, al di là del significato, suonano terribilmente male alle orecchie di chi appartiene ad una minoranza. Un danno mai riparato se è vero che Romney ha peggiorato il risultato già pessimo di McCain tra i latinos in tutto il sud, finendo per perdere di misura anche tra i cubani della Florida, un gruppo storicamente pro-GOP che ai tempi di Reagan votava repubblicano all’80%.
Le primarie hanno anche lasciato il team Romney con le casse vuote, mentre Obama ha potuto spendere valanghe di milioni di dollari per bombardare le tv degli stati in bilico con spot che descrivevano l’avversario come una specie di principe del male. Attacchi personali rimasti senza risposta per mesi, fino a quando Romney non ha potuto “sbloccare” i fondi della campagna nazionale, ovvero dopo la nomination ufficiale arrivata solo a fine agosto.

2 - Il “Vice”
La scelta di Paul Ryan è stata di livello e ha energizzato la campagna, ma alla resa dei conti non c’è stato l’effetto trascinamento che molti si aspettavano nel suo stato d’origine: il WisconsinRomney-Ryan sono stati il primo ticket presidenziale a non aver portato a casa nessuno dei rispettivi stati d’origine dal 1972. Perfino Mondale, nella sua leggendaria disfatta 49 a 1 contro Reagan, aveva salvato il suo Minnesota. Certo, Massachusetts e Wisconsin era entrambi dei “long shot”, ma appunto per questo qualcuno si è chiesto se non sarebbero state più efficaci scelte come il senatore Rob Portman dell’Ohio e soprattutto come Marco Rubio, che avrebbe potuto essere un game changer con quell’elettorato ispanico che è costato a Romney la vittoria in Florida, Colorado Nevada.

3 - Il Turnout
Secondo gli exit poll della CNN Romney ha vinto 50 a 45 tra gli indipendenti su scala nazionale, e addirittura 53 a 43 in Ohio. Questo, come previsto, sarebbe stato sufficiente a portarlo alla Casa Bianca se il turnout dei repubblicani si fosse almeno avvicinato a quello dei democratici.
Dipende tutto dal turnout. Se il sample usato da molti sondaggisti, che ha i democratici sopra di 3-6 punti, sarà confermato dai fatti sarà una notte tutta blu. Ma se non fosse così..” è stato scritto qui all’inizio del live blogging elettorale.
Purtroppo è stato proprio così. La CNN fuori dai seggi ha fotografato un elettorato composto al 38% da democratici e al 32% da repubblicani. Al di là dell’inevitabile margine d’errore il miglioramento  rispetto al 2008 è stato troppo modesto per fare la differenza.
Gli stessi strateghi della campagna di Romney per settimane hanno basato i loro calcoli su un turnout molto più simile a quello del 2004 (37 a 37) o del 2010 che a quello del 2008. Per questo Romney è parso voler  andare "sul sicuro” nel terzo dibattito e per questo nell’ultimo week end prima del voto è stata presa la decisione di espandere la mappa, puntando su stati come la Pennsylvania. Non era un bluff. Vedendo i numeri tra gli indipendenti a Boston erano davvero sicuri di vincere e lo sono rimasti fino all’ultimo.
25,000 dollari in fuochi d’artificio erano già pronti, e pagati, per riempire il cielo di Boston martedì notte e quando Romney ha detto di aver scritto solo il discorso della vittoria non era una battuta. Lo si è capito quando ha pronunciato un concession speech a dir poco minimalista, chiaramente messo insieme all’ultimo momento.

4 - Sandy
L’uragano mostro ha votato democratico. Ha dato la possibilità al Presidente di “rifarsi una verginità” dopo settimane di attacchi personali allo sfidante a colpi di Big Bird e Romnesia. Per giorni Romney è sparito o quasi dai titoli dei network, mentre Obama ha potuto dispensare unità nazionale a reti unificate in mezzo a telecamere e fotografi, tra le macerie del New Jersey.
I risultati si sono visti: in controtendenza rispetto a quanto accade di norma stavolta è stato il Presidente in carica a guadagnare terreno sullo sfidante nell’ultima settimana. Secondo la media RCP lo swing è stato di quasi 2 punti e, al di là dei numeri assoluti, anche l’exit poll CNN conferma la tendenza aggiungendo che il comportamento di Obama dopo passaggio di Sandy è stato un fattore importante per la scelta elettorale dal 42% dei votanti, e addirittura il più importante in assoluto per il 15%.

5 - L’Orca spiaggiata
Di tutte le storie questa è forse la più interessante. Il “Progetto Orca” doveva essere la risposta repubblicana definitiva al “mito” del ground game obamiano. La scelta del nome “Orca” non è casuale: l’operazione sul terreno più grande mai tentata.
Doveva funzionare così: 37,000 volontari, sparsi negli stati in bilico, avrebbero dovuto appostarsi nei seggi armati di uno smartphone con all’interno un’applicazione (ORCA appunto)  contenente i nomi di milioni di iscritti ai registri elettorali. Al voto di ogni soggetto il suo nome sarebbe stato spuntato dal volontario di turno e inviato al sistema centrale di Boston. 
Ci darà l’enorme vantaggio di poter controllare i risultati degli stati in tempo reale. Sapremo chi ha votato e chi no e capiremo dove indirizzare i nostri sforzi” dicevano poco prima del voto nel quartier generale di Boston. Sarebbe stato così se il progetto Orca non si fosse rivelato un fiasco fin dalle prime luci del mattinotestimonianze di molti volontari parlano di PIN errati, di impossibilità di connettersi con il server centrale fino a che, intorno alle 4:00 del pomeriggio, pare che il sistema sia andato completamente in crash. E così, mentre i volontari del team Obama accompagnavano fisicamente migliaia di elettori ai seggi, quelli del progetto Orca passavano l’Election Day a fissare un display combattendo con un’applicazione inutilizzabile che ha trasmesso per tutto il giorno al sistema centrale di Boston numeri frammentari, incompleti e errati. Numeri che hanno continuato a dare Romney decisamente in testa anche quando i dati reali dello spoglio dicevano il contrario.
Ciliegina sulla torta di una giornata storta.

Nel prossimo post: il voto negli stati in bilico.

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